Ci sono due frasi fatte che vengono ripetute ossessivamente, in maniera fastidiosa: “i libri vanno letti in cartaceo” e “il teatro va visto dal vivo“. Io sono apostata e non credo nelle cose che “vanno fatte così perché sì”, quindi… leggo testi teatrali in digitale! E se mi dite che i libri vanno letti per forza da sdraiati, allora li leggerò in piedi!
Sono molto affezionato i libretti della collana Einaudi Teatro sin dal 1995 in cui ho scoperto, amato e venerato Aspettando Godot (1952) di Samuel Beckett, come ho già raccontato. Così quando mi capitano sotto gli occhi questi volumetti sogno sempre di trovare un altro autore che sappia affascinarmi di nuovo: per puro caso mi sono imbattuto in “John e Joe. Un ratto che passa” (1972), due testi teatrali che Einaudi porta in libreria (e in eBook) nel giugno del 2019.
L’autrice Ágota Kristóf, mi spiega Wikipedia, è una «scrittrice e drammaturga ungherese naturalizzata svizzera», ho scoperto poi essere molto famosa per Trilogia della città di K. Non so cosa mi sia scattato dentro, quale corda abbia toccato questo titolo di un’autrice che non avevo mai sentito, fatto sta che ho iniziato a sfogliarlo spinto esclusivamente da curiosità cieca… e mi sono innamorato!
Lo chiamano “teatro dell’assurdo” ma in realtà non ho mai capito cosa ci sia di assurdo: è essenzialità allo stato puro, è un modo di ridurre all’osso un concetto, essiccarlo fino a portarlo sull’orlo dell’incomprensibile e del ridicolo. Tutti noi ogni giorno diciamo e facciamo cose non necessariamente guidate da logica o consequenzialità, e se le stesse cose un attore le facesse su un palco… lo chiamerebbero “teatro dell’assurdo”.
Convogliare gesti e concetti essenziali serve a far percepire un messaggio senza usare gli strumenti della narrativa classica, e in questo non ci trovo niente di “assurdo”.
Ciò che più conta è che i protagonisti del primo testo, John e Joe, sono in pratica Vladimiro ed Estragone sotto altre vesti, come se Ágota Kristóf avesse voluto scrivere una fan fiction ispirata ad Aspettando Godot.
JOHN: Come va?
JOE: Cosa?
JOHN: Ma tutto, no.
JOE: Bene.
JOHN: Ah sí?
JOE: Sì.
JOHN: Non mi dire.
JOE: Chi, io?
JOHN: Sì, tu. Senti, Joe, tu mi esasperi!
JOE: Chi, io?
JOHN: Sì, tu.
JOE: Ti esaspero?
JOHN: Sì, mi esasperi!
JOE: Perché?
JOHN: Quando ti faccio una domanda, mi dici sempre: «chi, io?»
JOE: Chi, io?
JOHN: Visto?
JOE: Cosa?
John e Joe sono due amici le cui conversazioni non sono né profonde né proficue, esattamente come le discussioni di tutti noi, ma attraverso i loro irresistibili screzi raccontano una profonda amicizia, che conosce intoppi e carognate come ogni amicizia, ma al contrario di quanto succede di solito nella realtà… è un’amicizia che dura.
Proprio come Vladimiro ed Estragone, che usano la loro folle amicizia in attesa che arrivi Godot, qui John e Joe hanno dalla vita solamente il loro stare insieme, due poveri che devono contare i centesimi e il loro sogno più sfrenato è un bel vestito.
JOE: Tu lo conosci Sauser?
JOHN: Sauser?
JOE: Sauser.
JOHN: Sauser chi?
JOE: Sauser.
JOHN (ci pensa su): Sauser?… Sauser?…
JOE: Chi?
JOHN: Sauser.
JOE: Non lo conosco.
JOHN: Non lo conosci?
JOE: Chi, io? No.
JOHN: E allora perché mi chiedi se lo conosco?
JOE: Non lo conosci neanche tu?
JOHN: No. E cosa c’entra, ’sto Sauser?
JOE: Sauser chi?
Giuro, ho avuto discussioni molto più assurde!
John e Joe siamo noi allo stato puro, senza maschere, senza abbellimenti, senza quelle sovrastrutture che ogni giorno ci illudono che stiamo vivendo, che stiamo facendo qualcosa di utile e importante, mentre aspettiamo (inutilmente) Godot, mentre tutto ciò che rimane è il rapporto umano, quell’amicizia che i due protagonisti metteranno a dura prova ma sarà la vincitrice morale del testo.
In chiusura, non credete a chi vi dice come vadano fatte le cose: fatele e basta, come vi piacciono di più, come vi danno più soddisfazione. Diventate apostati come me… e leggete teatro in digitale!
L.
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