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Ghostwriting 13. Pearl Curran

06 Mar

Quando l’amica Celia del blog “Le cose minime” mi ha fatto conoscere il caso di Pearl Curran ho dovuto per forza riaprire una rubrica a cui sono molto legato: Ghostwriting, storie di fantasmi scrittori e scrittori fantasma.

La storia di Pearl ha tenuto banco negli anni Venti del Novecento ma poi è subito scomparsa, limitandosi a fare capolino ogni volta che gli appassionati del paranormale avevano finito gli argomenti e bisognava andare a svuotare i magazzini del fantastico. La storia della signora Curran è pressoché inedita nella saggistica italiana mentre invece fa capolino in diversi libri americani dedicati al paranormale, ma ovviamente nessuno la racconta dando voce ai protagonisti e facendo domande “scomode”, com’è invece usanza etrusca.

Al contrario degli altri episodi del ciclo, qui non c’è un film legato alla vicenda, ma lo stesso è un caso talmente delizioso di ghostwriting che non potevo resistere a regalargli il tredicesimo episodio della rubrica.


Io sono Patience Worth

8 giugno 1913, St. Louis, Missouri (Stati Uniti). A casa Curran un gruppo di amici si riunisce per passare una serata emozionante con il gioco che va tanto di moda: la tavola ouija, su cui ho già “indagato“. A un certo punto solamente due persone stanno tenendo le mani sulla tavola, la signora Pearl Leonore Curran, padrona di casa, e una sua amica, la signora Emily G. Hutchings. Gli altri, amici e vicini di casa, sono lì intorno a chiacchierare, curiosando ogni tanto sui “responsi” della ouija.

Illustrazione di Norman Rockwell per
il “Saturday Evening Post” del 1° maggio 1920

È la signora Mary E. Pollard a notare lo strano messaggio che appare sulla tavola, composto dalla planchette mossa da Curran e Hutchings:

«Many moons ago I lived. Again I come… Patience Worth my name

La serata si anima, gli ospiti si affollano velocemente intorno al tavolo e cominciano a porre domande a questa donna di nome Patience Worth, vissuta molto tempo addietro ed ora ritornata, per saperne di più su di lei. Le domande si moltiplicheranno così come si replicheranno le sedute, casa Curran diventerà attrazione locale, ne parleranno tutti i giornali e con il passare del tempo questa Patience si scoprirà essere una donna vissuta nell’Inghilterra del Seicento, straordinariamente colta per un’epoca non certo nota per curare l’educazione femminile nelle classi povere.

Curiosamente nessuno nota lo strano nome della donna, perfetto per l’evento: è “valsa la pena aver pazienza” per più di duecento anni, così che Patience Worth potesse risplendere nei rampanti primi decenni del Novecento.

Chissà se a tutto questo pensava Richard Matheson quando nel 1958 il suo personaggio, dopo una seduta spiritica, vede la propria mano afferrare una matita e scrivere «Io sono Helen Driscoll»: anch’egli infatti si ritrova collegato con una donna morta tempo prima, esattamente come succede alla signora Curran.


La fantasma e la signora Curran

Il titolo di questo capitolo è una citazione “al femminile” che va spiegata, perché una ventina d’anni dopo l’esplosione nazionale del caso di Pearl Curran una scrittrice irlandese, Josephine Aimee Campbell Leslie in arte R.A. Dick, ha pubblicato il romanzo The Ghost and Mrs. Muir (1945), dove una donna entra in contatto con il fantasma di un vecchio marinaio e si fa dettare da lui un romanzo. Proprio come la Curran si è fatta dettare da Patience Worth.

“Scientific American” (luglio 1926)

La ricostruzione di quella prima apparizione di Patience l’ho presa dal numero di luglio 1929 della rivista “Ghost Stories“, il cui nome può lasciar supporre una certa passione per il paranormale, ma del caso in realtà si occupano subito fior di studiosi e scienziati, tanto che nel luglio del 1926 l’autorevole “Scientific American” (rivista che nella sua versione italiana si chiama “Le scienze”) pubblica l’indagine di un “indagatore del mistero” dell’epoca, il dottor Walter Franklin Prince, «psychic investigator».

Prince si reca a St. Louis e studia a lungo il caso, parlando con Pearl Curran e diventando – che ne fosse consapevole o meno – un fenomenale megafono. L’indagatore del mistero infatti cerca di rimanere imparziale ma dal suo articolo traspare la grande ammirazione per il “mistero misterioso”, mentre invece sono molto più scettici i tanti studiosi citati da “Ghost Stories”, creando un curioso paradosso: una autorevole rivista scientifica lascia molto più spazio al paranormale rispetto a una rivista di fantasmi!

Su cosa si interrogano tutti questi studiosi, compresi ipnotisti a cui (guarda caso) la Curran rifiuta sempre ogni analisi su di sé? L’oggetto dello studio non è il fatto che la tavola ouija abbia collegato una donna del Novecento con una del Seicento, l’oggetto dello studio è il fatto che Patience Worth abbia cominciato a dettare fiumi e fiumi di testi, fra racconti, romanzi e poesie, che diligentemente Pearl Curran ha trascritto e fatto pubblicare. Perché sebbene quella fatidica notte la Worth sia “apparsa” a tante persone, guarda a volte la curiosità parla solo ed esclusivamente quando c’è la Curran alla ouija. Ci viene ben specificato che malgrado i vari tentativi, nessuno dei presenti quella sera è riuscito a comunicare con la donna seicentesca.

“Ghost Stories” (luglio 1929)

Ghost Stories” ci spiega che uno stuolo di ricercatori si è messo ad analizzare la vita di Pearl Curran, andando persino ad intervistare i suoi maestri di scuola, e l’esito è che la donna non può in alcun modo aver prodotto di proprio pugno quei testi, avendo studiato solo fino all’età di 14 anni senza mai dimostrare alcuna propensione per la letteratura. E poi, prova inoppugnabile, «non ha mai letto opere letterarie del XVII secolo». Davvero? Sarebbe questo il responso degli studiosi? Che una donna americana, cioè cresciuta nella cultura che di più al mondo venera, legge e insegna Shakespeare, autore le cui opere sono tutte state stampate nel XVII secolo e che vengono lette da tutti gli scolari fino alla nausea, non ha alcuna nozione di come parlasse una donna del XVII secolo, cioè una qualsiasi delle tantissime donne presenti nelle opere shakespeariane.

Durante le sessioni alla ouija Patience Worth parla come parla qualsiasi donna in una qualsiasi opera di Shakespeare, quindi ogni donna americana può dire di aver instaurato un rapporto con una donna seicentesca: sarebbe infinitamente più difficile farlo con una settecentesca o cinquecentesca, ma seicentesca è di una facilità estrema. Ma io non sono certo uno degli autorevolissimi indagatori che si sono occupati del caso.


Vittima dei pellerossa

Gli anni passano, e da quel 1913 ormai le cose sono cambiate. Immaginate di trascrivere un intero romanzo dettato da uno spirito che comunica con voi spostando una planchette su una tavola ouija, lettera per lettera: non invidio per nulla la povera Pearl Curran! Quindi non c’è da stupirsi se dopo un po’ ha mollato tutti questi orpelli e ha cominciato ad affermare che Patience Worth le parlava direttamente in testa, suggerendole cosa scrivere, con un sistema decisamente più pratico e veloce.

Pearl Curran
(da “Scientific American”)

Circondata da ogni tipo di studioso, appassionato, seguace e quant’altro, le parole di Patience uscite dalla penna di Pearl sono costantemente sottoposte a studio, e tutti sono sempre concordi sul fatto che una donna del Missouri degli anni Dieci del Novecento non può assolutamente conoscere quelle espressioni, e ci sono parole del tutto sconosciute persino agli studiosi, i quali curiosamente rimangono sempre tutti innominati: mai nessuno che venga presentato per nome. Che abbiano paura di fare brutta figura?

Stando alle attente indagini di studiosi ignoti, così come sono ignoti i sistemi usati per questi sedicenti studi, si stabilisce che Patience Worth è stata una donna rossa di capelli nata nel 1649 in Inghilterra. Cresciuta lavorando la terra e curando la casa, all’età di vent’anni è emigrata in America, rimanendo uccisa poco dopo da… un attacco di pellerossa! Questa incredibile informazione viene fatta risalire alla Guerra di re Filippo (King Philip’s War), uno scontro del 1675-1676 fra i coloni inglesi e alcune tribù di indigeni.

«Uno degli investigatori cercò di farla cadere in trappola chiedendole se il nome dell’indiano che l’aveva uccisa era Filippo. Al che Patience ribatté, con un po’ di disprezzo e nel suo modo caustico: “Se qualcuno ti tiene una spada alla gola ti fermi a chiedergli il nome?”»

Quindi i pellerossa usavano le spade? Tocca aggiornare i western americani. Comunque gli studiosi analizzano minuziosamente ogni parola della fantasma e i risultati non lasciano dubbi: le parole di Patience Worth sono espressioni colloquiali e dialetti usati esclusivamente nel Dorsetshire del 1650. Il che è strano, perché lei è nata nel 1649 quindi sono espressioni durate almeno due decenni, quindi per nulla legate al 1650 come viene sottolineato.

“Scientific American” e “Ghost Stories” usano lo stesso identico stile descrittivo: non viene riportato un solo nome di un qualsiasi studioso di qualsiasi materia, viene semplicemente detto che «studiosi» (scholars) hanno accertato come ogni singola sillaba di Patience Worth sia assolutamente vera e comprovata. Ma chi sono ’sti scholars non si sa, magari sono amici di Pearl Curran o suoi seguaci disposti a tutto pur di farle piacere. Curioso poi come la fantasma sia vissuta pochi anni dopo Shakespeare, personaggio di cui non sappiamo nulla, neanche se sia mai realmente esistito, invece di una contadina morta ventenne sappiamo risalire persino al dialetto usato nell’anno della sua nascita!

Inizio dell’articolo apparso su “Ghost Stories” nel luglio del 1929

Se non si fanno nomi di scienziati, studiosi o ricercatori, se ne fanno invece di poeti. Per esempio “Ghost Stories” racconta che Edgar Lee Masters (ritratto nell’illustrazione qui in alto, a destra), ospite di casa Curran, abbia chiesto a Patience di improvvisargli una poesia sulle ombre, e subito – «in soli tre minuti» – la bocca di Pearl snocciola una poesia perfetta, tanto da lasciare sgomento Masters. Interrogato dagli investigatori presenti (sempre innominati), Masters afferma che è impossibile per chiunque comporre versi come Patience Worth. Peccato che nella sua autobiografia, Across Spoon River (1936), scritta quando ormai il fenomeno Pearl/Patience era bello che dimenticato, Masters non abbia incluso questo aneddoto.


Ghostwriting

Intanto casa Curran è diventata ormai meta di pellegrinaggi da ogni parte del Paese, con persone che si presentano a chiedere consiglio allo spirito di Patience, che parla per bocca di Pearl, ormai vera e propria oracolo delfiano. Se vi trovate a St. Louis e volete sapere del futuro, dell’amore e dei soldi, chiedete a Pearl Curran e vi risponde Patience Worth direttamente dal Seicento! Perché le donne del passato sanno tutto del futuro.

Poi ogni tanto la signora Curran parte in tournée, così la rivista “Vanity Fair” del marzo 1920 descrive una «recente visita a New York» della nostra umilissima signora di St. Louis, che si lancia in pratiche antesignane delle rap battle: accetta dal pubblico un tema e poi parte a snocciolare una poesia su questo tema. Ma al contrario dei futuri rapper, la signora Curran non sente alcun obbligo di metrica e di rima. Stando agli esempi citati dalle riviste, direi che “poesie” mi sembra una definizione esagerata per delle semplici parole in libertà.

Prima edizione Henry Holt 1918

A quest’opera di messianesimo e di spettacolo pubblico è affiancata quella più letteraria ed editoriale, che sarà la principale con cui la coppia Patience/Pearl sarà ricordata. I primi romanzi “dettati dal passato” sono editi da Henry Holt fra il 1917 (The Sorry Tale) e 1918 (Hope Trueblood) ma poi la famosa imprenditorialità editoriale del Dorsetshire seicentesco prende il sopravvento e nasce la newyorkese Patience Worth Publishing, che almeno dal 1923 inizia a stampare le opere del fantasmatico duo.

Le edizioni si limitano agli anni Venti, il fenomeno Patience/Pearl non sembra durare oltre, ma poi arrivano i mitici anni Settanta con l’esplosione mondiale del paranormale e del mistero, e la nostra testa-rossa seicentesca torna nelle librerie americane, in quel decennio totalmente schiavo del soprannaturale. Toccherà poi aspettare il nuovo millennio per veder riapparire qualche sua opera. In Italia il fantasmatico duo risulta completamente inedito.

Il 16 settembre 2010 la giornalista Diana Denny scrive sul “The Saturday Evening Post” di come un lettore le abbia fatto scoprire un racconto di Pearl Lenore Curran apparso sulla stessa testata, nel lontano 22 novembre 1919: quel Rosa Alvaro, Entrante che poi arriverà al cinema per la Goldwyn Pictures come What Happened to Rosa (1920) per la regia di Victor Schertzinger, distribuito in Italia nel 1924 (fonte: ItaliaTaglia.it) con il titolo La bella spagnola.

La protagonista è una donna qualunque che d’un tratto riceve le attenzioni desiderate perché afferma di essere la reincarnazione di una antica nobildonna spagnola: che sia una sorta di confessione letteraria dell’autrice? Un modo per far sapere anche al più coriaceo degli scholars che si è inventata Patience perché era stanca di essere un’anonima signora del Missouri?

In seguito su “Snappy Stories” (Vol. LXIV) del 2 febbraio 1922 appare un racconto lungo, Flickers, firmato dalla Curran insieme con Elinor Maxwell: curioso che nessuno dei sedicenti studiosi abbia mai citato questi racconti, non dettati da spirito alcuno ma lo stesso giunti a pubblicazione.

Uno dei rari testi firmati dalla signora Curran (da “Snappy Stories”, 2 febbraio 1922)

La prova citata da tutti gli studiosi (chiunque essi siano e qualunque sia stato il loro discutibile metodo di studio) è che una donna come Pearl Curran, una normale signora con pochissimi anni di studio nel proprio curriculum scolastico, possa scrivere romanzi e poesie, quando invece può eccome, visto che a proprio nome ha firmato almeno due racconti pubblicati su riviste, anche prestigiose. (Magari sono di più, ma io sono riuscito a trovarne solo due.) Quindi “impossibile” non è il termine giusto, le prove dimostrano che persino chi abbia interrotto gli studi all’età di 14 anni può scrivere racconti, che magari non saranno capolavori ma lo stesso sono pubblicati.

Se già questo non bastasse a smontare l’unica “prova” usata per confermare l’esistenza dello spirito di Patience Worth, ne posso aggiungere un’altra: almeno Pearl curran una decina d’anni di scuola li ha fatti, la testa-rossa del Dorsetshire non ha fatto neanche quelli! È vissuta lavorando nei campi e spicciando casa, perché mai lei invece può scrivere grandi romanzi e splendide poesie senza che nessuno lo trovi sospetto? Ah già, è vero: parliamo della cultura anglofona, che crede davvero che un fattore di campagna di nome di Shakespeare abbia scritto le opere che portano quel nome. A questo punto, vale tutto!

In fondo questo rende chiaro l’atteggiamento che si dovrebbe avere nei confronti di questa vicenda: così come crediamo a Shakespeare senza prova alcuna, bisogna credere per fede a tutto quanto raccontato da Pearl Curran, perché nessuno dei sedicenti studiosi che hanno analizzato il caso ha lasciato traccia di un metodo di analisi seguito o degli indizi ricercati. Abbiamo solo dichiarazioni prive di qualsiasi fondamento e affermazioni del tutto soggettive: ognuno può credere ciò che vuole. Io credo nel ghostwriting, che cioè quando un autore (o più spesso un’autrice) si isola in cerca di ispirazione… un spirito, un ghost si palesa a donare novella ispirazione per successi editoriali, come dimostrano i titoli già affrontati in questo speciale.


Il metodo della signora Curran

«Lasciate che un qualsiasi uomo si dichiari uno psichico, se vuole che la propria credibilità gli finisca sotto i piedi.»

La signora Curran è la prima a non avere stima dei sedicenti studiosi che la attorniano e lanciano dichiarazioni discutibili sul conto suo e della sua fantasma seicentesca. Possibile che lei debba sottostare alle analisi di persone che si sono auto-attestate la patente di “tutori della verità”?

«Siccome uno produce un fenomeno soprannaturale, allora viene immediatamente classificato come mostruosità e dissezionato sia mentalmente che fisicamente?»

Sul “Reedy’s Mirror” del 18 marzo 1920 la donna si scaglia contro gli scienziati in un articolo furibondo che dimostra profonda ingratitudine: è proprio grazie agli studiosi poco accorti che lei è diventata un fenomeno, perché proprio quelli che affermavano sciocchezze come che Patience parlasse in un dialetto esclusivo del Dorsetshire del 1650 hanno creato il mito di Pearl Curran.

dal “Reedy’s Mirror” (18 marzo 1920)

«Durante gli ultimi sei anni in cui ho scritto per Patience Worth ho avuto migliaia di testimoni intorno al mio tavolo. [In realtà dice «at the board», forse suggerendo che per tutti e sei anni ha consultato Patience sempre mediante la ouija board. Nota etrusca] Non mi sono mai preparata in alcun modo per gli incontri o, durante la scrittura, per il risultato finale: è nato tutto sul momento [«all have been impromptu»].

La donna, probabilmente stanca dell’operato dei tanti (sedicenti) studiosi che la circondavano, dichiara stizzita di non essere mai stata male in vita sua, le è sconosciuta qualsiasi malattia, è completamente sana e non soffre di alcun tipo di psicosi. Visto che si è auto-diagnosticata sana, dobbiamo crederle per forza…

Pearl specifica che sei anni prima non avrebbe capito la lingua dei romanzi di Patience Worth, non avendo mai avuto né interesse né educazione necessaria a comprendere quella lingua – e noi ci crediamo per fede, non esistendo prove di queste affermazioni – e poi previene una domanda che teoricamente sarebbe ovvia ma temo non l’abbia posta nessuno prima che lei stessa affrontasse la questione: una volta abbandonata la ouija, come comunica la fantasma con lei?

Patience Worth Publishing 1928

«Quando arrivano le poesie, davanti ai miei occhi appaiono immagini di ogni simbolo in sequenza, così come le parole che mi vengono fornite. Se vengono menzionate le stelle, le vedo nel cielo. Se sono menzionate altezze o profondità o ampi spazi, ricevo emozioni potenti a riguardo. Lo stesso per le piccole cose della Natura, per i campi, i fiori, gli alberi, gli animali, qualsiasi cosa venga menzionata nella poesia.»

Mi sembra un sistema drammaticamente inefficace di dettare una poesia, a meno che non sia un’ode bucolica che menzioni prati, fiori, vacche e muli. Al di là di poesie didascaliche, è un sistema molto farraginoso: visto che lo spirito di Patience ha attraversato lo spazio e il tempo, possibile non riesca a suggerire direttamente le parole invece di giocare a “Pictionary”? In fondo sulla ouija mica mostrava stelle e prati, dettava parole precise.

«Quando arrivano i racconti, le scene si fanno panoramiche, con i personaggi che interagiscono fra di loro. L’immagine non è limitata al punto narrato, ma si muove per includere tutte le scene. Per esempio, se due persone sono viste parlare per la strada, non vedo solo loro ma anche uno scorcio del quartiere, con la strada, gli edifici, le pietre, i cani, la gente e tutto il resto, come se fosse una scena vera. (O queste scene sono una riproduzione reale?) Se la gente parla una lingua straniera, sopra la lingua straniera sento la voce di Patience che traduce, o mi fornisce la parte che vuole inserire nella storia.»

Di nuovo, è un metodo terribilmente complicato e inefficace di scrivere un racconto o un romanzo, ma è incredibile come nel 1920 abbia anticipato di diversi anni la nascita del film doppiato! Forse il suo nome dovrebbe essere legato a questo, invece che ai romanzi di Patience.

La donna continua a descrivere il suo metodo con grande naturalezza, come fosse la cose più normale del mondo:

«Con i miei soci passiamo molto tempo, con me che descrivo una scena con particolari che poi non ci andranno. Mentre scrivevamo The Sorry Tale c’era una scena in cui erano descritti cani nella strada, certi carri a ruote, certi buoi imbrigliati, gli uomini del mercato e le grida delle donne che vendono merci sui banchi.»

Quindi il processo di scrittura consiste in Pearl che descrive un mare di particolari inutili e poi insieme ai suoi “soci” si sfoltisce per creare una scena adatta alla vicenda. Ma chi sono questi soci («associates»)? E come può tutto questo processo creativo inutilmente complesso essere poi spacciato per “parole di Patience Worth”? Lo spirito della donna seicentesca si limita a mandare immagini incasinate a Pearl, che le descrive a voce e poi insieme ai “soci” si tira fuori qualcosa, ma quanto rimane di ciò che Patience voleva raccontare?

Lo «psychic investigator» dottor Walter Franklin Prince e l’immensa produzione di Pearl/Patience
da “Scientific American” (luglio 1926)


Conclusione

Il caso di Pearl Lenore Curran è giustamente dimenticato, sepolto negli anni Venti del Novecento, tornato un po’ di moda nei paranormali Settanta, e di solito affrontato solo dai libri sui “misteri misteriosi” e in tempi recenti da podcast sempre in cerca di storie misteriose da raccontare.

Dei tre milioni di parole scritte dalla donna su dettatura di Patience Worth – a tanto infatti ammonta la produzione letteraria calcolata dal citato Prince – non è rimasto molto nell’immaginario popolare, ma voglio chiudere riportando per intero una delle poesie di Patience Worth, citata nella rivista “Ghost Stories” (luglio 1929).

Ricordo che questa poesia è scritta nello strettissimo e ormai dimenticato linguaggio colloquiale del Dorsetshire del 1650, totalmente ignoto a chi non sia nato e cresciuto in quella zona: nessuna donna di lingua inglese avrebbe mai potuto scrivere queste parole, lo testimoniano fior di studiosi anonimi e gente di passaggio. Per questo motivo ho chiesto aiuto all’amica Vasquez, domandandole: «Sarai degna di pazienza… per Patience Worth?» Non so se lo spirito di qualche inglese seicentesca l’abbia aiutata, ma Vasquez è stata degna di Patience!

Dust, dust, dust – the mould of kings,
Bits of the Orient, ashes of wise men,
The clod from the foot of the fool,
Dead roses, withered leaves, crumbling
Palaces, man’s hopes and desires,
The tears of ages, and stuff of all manking,
Dust, dust, awaiting the hand of God
To intermingle and resurrect.
Dust, dust, dust – tomorrow unborn.
Dust, dust – yesterday’s ashes.
Polvere, polvere, polvere – forgia di re
Stralci d’Oriente, dei saggi le ceneri,
Terra dai piedi del giullare,
Rose defunte, foglie avvizzite, palazzi
Cadenti, speranze e desideri dell’uomo,
Lacrime ataviche e la sostanza di tutta l’umanità,
Polvere, polvere, che attende la mano di Dio
Per mescolarsi e risorgere.
Polvere, polvere, polvere – il germoglio del domani
Polvere, polvere, le ceneri di ieri.

L.

– Ciclo ghostwriting:

 
10 commenti

Pubblicato da su marzo 6, 2024 in Indagini

 

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10 risposte a “Ghostwriting 13. Pearl Curran

  1. Celia

    marzo 6, 2024 at 8:28 am

    Ottimo e abbondante!
    Nel podcast che ho ascoltato in merito non si parlava, mi pare, del metodo iconografico di trascrizione dei testi ispirati dal fantasma: direi che “drammaticamente inefficace” è persino un eufemismo… 🤦‍♀️

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    • Lucius Etruscus

      marzo 6, 2024 at 12:32 PM

      Quello che non mi piace della “saggistica da podcast” è che hanno tempi stretti e preferiscono ripetere quanto già detto in giro per il web, cioè informazioni superficiali: persino uno qualunque come me può invece accedere a preziose dichiarazioni dei protagonisti e documenti d’epoca che permettono di dare un’immagine decisamente diversa di questo “mistero misterioso” 😛
      Grazie ancora per avermi fatto conoscere questa chicca, perfetta per questo ciclo a cui tengo molto ^_^

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    • Vasquez

      marzo 6, 2024 at 3:40 PM

      Per curiosità, in quel podcast si faceva cenno a quanto ha guadagnato in termini monetari Pearl dalla pubblicazione di tutto quel materiale? Sono curiosissima su questa cosa 💰💰💰

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      • Lucius Etruscus

        marzo 6, 2024 at 3:46 PM

        Se era intestata a lei la Patience Worth Publishing, com’è molto probabile, sicuramente avrà guadagnato dalle copie vendute, in quegli anni Venti in cui andava di moda, e sicuramente le sue apparizioni in pubblico non erano “a gratis” 😛

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      • Celia

        marzo 6, 2024 at 5:05 PM

        Mi pare di no, ma immagino che debba averne fatti di soldi: dopotutto fu pubblicata e letta parecchio.
        Tuttora si può acquistare la sua produz-, ehm, roba.

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      • Vasquez

        marzo 6, 2024 at 6:47 PM

        Ah! Grazie mille, ci butterò senz’altro un orecchio 😊

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      • Celia

        marzo 6, 2024 at 6:53 PM

        È puro intrattenimento.
        Mi rilassa, e in più la voce mi piace.

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  2. Madame Verdurin

    marzo 6, 2024 at 11:58 am

    Nessuno, nemmeno i fantasmi di donne seicentesche, può sfuggire agli spietati editor che cancellano senza remore tutte le descrizioni inessenziali!

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  3. Vasquez

    marzo 6, 2024 at 3:37 PM

    Ringraziamo tutti Celia per aver portato alla luce questa storia incredibile, e io personalmente ringrazio l’Etrusco per avermi messo di fronte a una sfida degna del K2, ma che dico del K2? del Nanga Parbat, ma che dico Nanga Parbat? una sfida talmente ardua…ma talmente ardua… che Patience non ha fatto nemmeno in tempo a farmi un disegnino piccolo piccolo, che io avevo già finito! 😛

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    • Lucius Etruscus

      marzo 6, 2024 at 3:44 PM

      Neanche un sogno ispiratore? Neanche un bisbiglio? Una voce nel buio? Forse era impegnata a fare la ghostwriter da qualche parte 😛

      Piace a 1 persona

       

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