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Incubo: una parola da incubo

23 Giu

Kiran Shah (Guinness dei Primati come “stuntman più piccolo” del cinema) e Natasha Richardson
in un celebre fotogramma dal film Gothic (1986) di Ken Russell

Parlare di “disturbante” e “perturbante” e della loro evoluzione mi ha fatto venir voglia di tornare ad occuparmi di “parole” e di come nascono “per traduzione”.
Molti termini infatti vengono creati da altre lingue e italianizzati: se poi durano, finiscono nei vocabolari e nel linguaggio parlato. Purtroppo il Novecento si è perso per strada un gran numero di parole per sostituirle con altre più modaiole: ha cioè sostituito “esterismi” (dal latino, greco, francese, spagnolo, tedesco, ecc.) esclusivamente con inglesismi.
Ed è proprio di una parola inglese di origine lontana che voglio parlare: una parola… da incubo!


Indice:


The Nightmare and her nine folds

Già ho raccontato con dovizia di particolari la storia di come gli italiani si sono rotti la testa per tradurre una parola sconosciuta a chi la usava: nightmare. Il mio saggio Tradurre l’incubo. La cavalla della notte e le sue varianti è gratuito e potete scaricarlo liberamente: qui mi limito a ricordare le conclusioni e ad integrare con qualche chicca.

I dati precisi li trovate nel mio saggio citato, ma la morale è: nightmare è una parola di origine incerta, che nasce dal nulla ed impiega secoli per entrare nel linguaggio parlato inglese.

La cita nel Duecento Chaucer e ad inizio Seicento Shakespeare: nessuno dei due sa cosa sia quella parola ed entrambi si limitano a riportare leggende popolari il cui significato si perde nella notte dei tempi. Il nightmare deriva dalle antiche culture sassoni e sta ad indicare un demone notturno che va esorcizzato con filastrocche popolane, e infatti Shakespeare non fa che citare una di queste filastrocche, il cui significato è aperto a qualsiasi interpretazione, visto che non ne esistono di ufficiali.

Ignoto alla lingua inglese, il termine nightmare comincia nel Settecento il suo lento viaggio per diventare parola di uso comune, ma a metà dell’Ottocento – quando cioè Shakespeare diventa un autore famoso in Europa – nasce un problema molto serio: come si fa a tradurre una parole che il suo stesso autore ignorava? Come si rende in un’altra lingua una parola che, a seconda del manoscritto che si consulta, cambia di grafia ed è sempre incerta?
Qui avviene il miracolo, perché i traduttori italiani cominciano a studare la lingua italiana.


Da un Re Lear del 1787


Fantasime, larve e Versiere

Nightmare vuol dire “incubo“, non si scappa, ed è perfettamente rappresentato da questa parola italiana derivata dall’incubus del latino medievale. Ma c’è un problema: è una definizione dotta, che si trova in ogni manuale di medicina… quindi non va bene. Chaucer e Shakespeare stanno citando antiche e semi-sconosciute leggende popolane, filastrocche smozzicate che la gente canticchiava a mezza voce per tenere lontani i demoni notturni: tutto questo non ha nulla a che vedere con l’incubus, quindi i traduttori scavano e scoprono che poco prima di Shakespeare in Italia c’erano le stesse filastrocche… per tenere lontana la fantasima.

da un Decameron del 1825

Termine stupendo ma ormai defunto, la fantasima non è semplicemente il femminile del fantasma (come il nachtmarë è il femminile del demone sassone nachtmårt) ma è proprio una forma popolana per indicare l’oppressione notturna, per indicare l’incubo.
Fa il paio con larva, che ancora nell’Ottocento indicava una maschera («Ch’io pur mi mascheri, / A me una larva!», dal Rigoletto di Verdi): gli incubi sono immagini che prendono vita, sono frutto di fantasia (dal verbo greco fantàzo, da cui anche “fantasma”), sono immagini finte e quindi sono anche maschere (larve).

Ogni traduttore italiano di Shakespeare ha dovuto scegliere fra queste opzioni – come racconto con dovizia di particolari nel mio saggio – aggiungendo anche deliziose chicche come Versiera (moglie dell’Avversiere, cioè il Diavolo), scatenando un problema di traduzione di ritorno: quando gli inglesi si sono trovati a tradurre la “versiera di Agnesi”, che è un teorema settecentesco della nostra Maria Gaetana Agnesi (considerata l’Ipazia italiana e oggi dimenticata), hanno creato uno sbrigativo The Witch of Agnesi. Povera Maria Gaetana, da eccellente matematica… a strega!

Il nightmare, la “cavalla della notte” (come amavano tradurre Füssli e Borges), l’oppressione notturna, ha conosciuto in Italia davvero un fiorire di nomi: tutti purtroppo svaniti nel nulla.


Un Canterbury Tales del 1775


L’incubo dai tanti nomi

Incubo

Per i latini medievali, dicevo, non c’erano dubbi: l’oppressione notturna si chiama incubus.
La parola apparteneva ad una ricca famiglia, tutta dimenticata nel passaggio all’italiano. I latini avevano l’incubitus che era “l’atto di mettersi a giacere o coricarsi”, da quell’incubitare che ha lasciato tracce di sé nell’italiano “incubare“. Anche se la chiamiamo “cova” (che è la traduzione italiana), cosa fa una gallina per “incubare” le sue uova? Ci si siede sopra: l’incubare latino era appunto il gesto del “giacere sopra”.
Da queste varie sfumature era facile trovare il nome dell’oppressione notturna che dà la sensazione a chi la soffra di avere un demone “seduto sopra” al proprio petto: incubus.

Efialte e pesarolo

The Nightmare, with her whole ninefold
Illustrazione di Arthur Rackham per
The Legend of Sleepy Hollow (1928)

Identico percorso quello della lingua greca, per cui efiàltes significa “che monta addosso”. Si usava di solito per indicare la cavalcatura, quindi è un termine perfetto per la “cavalla della notte” (night + mare)!
Purtroppo la parola italiana “efialte” non ha avuto lunga vita, mentre quella greca ha generato una curiosa deriva. Il celebre medico greco Galeno descrisse l’incubo come il “venir colti di sorpresa”, usando una parola destinata a triste successo: epilexìa.

La parola italiana “incubo” è antica ma relegata ad alcuni ambiti particolari. L’edizione del 1758 della Vocabolario della Crusca afferma di voler mettere da parte la definizione in uso fino a quel momento, cioè di «specie di spirito, che da alcuni si crede che pigli forma d’uomo e giaccia colle donne», come si trova nei vocabolari fiorentini sin dal Seicento. Ora, dice la Crusca, è più opportuno considerare la parola nel senso di «specie di male, o incomodo, per lo più notturno».

Esiliata nell’ambito medico, la vera esplosione popolare della parola avviene solo nell’Ottocento, andando a sostituire un’altra parola, come ci testimonia Giovanni Obicini:

«L’Incubo od Efialte (come più comunemente da noi si suole chiamarlo) è un’affezione la quale assalta ordinariamente nel sonno, e più frequentemente nello stato di mezzo tra il sonno e la veglia.»

Quindi “comunemente” si usava efialte? Vista la rarità delle fonti dobbiamo fidarci di Obicini e del suo Dell’incubo: dissertazione inaugurale (Pavia 1836), anche se un Traité de pathologie interne del 1857 afferma che in italiano si dice “incubo” o “pesarolo“: quest’ultimo già nel Settecento la Crusca definiva storpiatura del francese pesanteur e dello spagnolo pesadello (pesadilla).

Oppressione notturna secondo Stephen King ne L’occhio del gatto (1985) con la piccola Drew Barrymore

Alpa e Arbghétt

A metà Ottocento l’«affannosa oppressione che talora nel sonno si sente nel petto di chi dorme supino» ha dunque vari nomi: pesarolo, incubo, fantasima, efialte ma anche alpa, ci informa un Vocabolario parmigiano-italiano di Carlo Malaspina (Parma 1856), parola palesemente derivata dall’Alp tedesco. “Ein Alp zaumet dich“, un incubo t’imbriglia, tanto per ricordare che l’immagine del cavallo è sempre fortemente vicina.
Ogni regione può aggiungere la propria parola dialettale nata per indicare l’incubo. Un Glossario modenese del 1868 per esempio attesta “Arbghétt“:

«Nei secoli dell’ignoranza, e della superstizione, in cui il gridare di un uccello, che la fama aveva celebrato di sinistro augurio, faceva fremere di spavento la credula vecchia, ed il giovine guerriero, pure intrepido all’aspetto di mille morti: nei secoli, in cui quanto v’aveva di non inteso, al meraviglioso ed al soprannaturale attribuire si soleva, stupore non recherà al certo, se l’Incubo, la cui natura anche a nostri tempi va forse ancora circondata di tenebre, opera si credesse di demonj e di spiriti, piuttosto che considerarla come morbosa affezione.»

Guillaume Sorel nel 2014 trasforma Le Horla (1886) di Maupassant in “oppressione notturna”

Definizioni

L’italiano ottocentesco aveva dunque molte parole per indicare un concetto sfaccettato: la cavalla della notte e tutti i suoi puledri, per dirla come Borges amava tradurre il passo di Shakespeare.
«Lo scrittore giudizioso saprà fare una scelta opportuna, cioè appropriata ai diversi casi», specificava il professor Ernesto Sergent nel suo Nuovo vocabolario italiano domestico (Milano 1869), passando ad elencare i più accreditati all’epoca:

  • Incubo, dal latino incubus, si lascerà ai medici nei loro parlari e nelle loro scritture. In ogni altro caso l’Incubo rammenterebbe inopportunamente l’infernal tresca di codesto e dell’altro demonio il Succubo.
  • Fantasima, viene naturalmente ad associarsi all’idea superstiziosa, e per ciò falsa, che quella passeggiera ma molestissima ambascia sia prodotta da una causa esterna, e da non so quale essere fantastico.
  • Efialte, che vuol dire Salta-addosso, potrà far comodo al poeta cui piaccia assomigliare la causa di quel morboso aggravamento al Gigante della favola, il quale col mostruoso suo corpaccio prema il delicato seno di persona dormente supina.
  • Pesaròlo resterebbe il solo e proprio vocabolo per l’uso andante; parola adoperata in contado, la quale senz’accennare a diavoleria, a spettri e a fantasticaggini, indica semplicemente l’effetto che se ne risente, il quale è come se s’avesse sul petto un gran peso che minacciasse di soffocazione.

Tutte queste parole sono ormai defunte: l’incubo non ha sinonimi. La cavalla della notte ha perso tutti i suoi puledri, come nell’Ottocento erano già scomparsi termini italiani sinonimi come silvano e soppressura, attestati dalla Fontana della Crusca del 1709. (Soppressura dopo è passato ad indicare una strega.)

John Henry Füssli, The Nightmare (Nachtmahr, 1781)

Ecco altre accezioni dialettali sparse:

  • Alpa (parmigiano)
  • Pesarolo, o pesaruolo (Toscana)
  • Ammutadore (dizionario sardo di metà Ottocento)
  • Salván (milanese)
  • Psarœul (mantovano)
  • Pesarul, o Çhalçhùtt (friulano)
  • Mazzapëdar (romagnolo)
  • Mazzapèider (bolognese)
  • Marzamareddu (siciliano)
  • Rèpegh, o Carcadèll (reggiano)
  • Quagg (bresciano)
  • Striccacuor (ferrarese)

Divertente rielaborazione dell'”oppressione notturna”


Conclusione: La Mora

Tutti abbiamo incubi e la voglia di creare nomi nuovi non si è mai sopita, quindi ogni zona d’Italia ha il suo nome per descrivere l’essere che opprime il petto del dormiente: per sapere di più su La Mora, vi segnalo questo post del blog Niente Panico di Bloody Ivy.


L.

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24 commenti

Pubblicato da su giugno 23, 2017 in Indagini, Linguistica

 

24 risposte a “Incubo: una parola da incubo

  1. Cassidy

    giugno 23, 2017 at 7:32 am

    Altro giro, altro post, altro regalo. Complimenti come al solito per la tua ricerca, hai spiazzato in ogni dove, sarò ripetitivo ma quando fai così mi incanto a leggerti, bravissimo! Cheers

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    • Lucius Etruscus

      giugno 23, 2017 at 7:43 am

      Ti ringrazio e mi fai arrossire ^_^ Mi ha fatto piacere scoprire che il nanetto mostruoso di “Gothic” è molto attivo nel cinema fantasy, dal Signore degli Anelli al Trono di Spade a Star Trek!!!

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  2. Ivano Landi

    giugno 23, 2017 at 10:26 am

    Triplo wow!!! Non posso che sottoscrivere quanto affermato da Cassidy.
    Mi chiedo però, a questo punto, se “brutto sogno” possa davvero passare per sinonimo di “incubo”, visto che vi si perde ogni accenno all’oppressione fisica. Non per nulla in un caso si dice “ho fatto un brutto sogno” e nell’altro “ho avuto un incubo”.

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    • Lucius Etruscus

      giugno 23, 2017 at 10:30 am

      Ti ringrazio, e il problema che sollevi credo si rifaccia alla questione di “inquietante”: la perdita di tutti i sinonimi ha fatto sì che chiamiamo “incubo” concetti diversi, per cui ormai si sono perse le parole. Tecnicamente andrebbero divisi i “brutti sogni” dall’oppressione notturna, ma ormai non ci sono più parole per indicarli, c’è solo “incubo”: magari arriverà qualche traballante traduzione inglese ad aiutarci 😛

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  3. clementina daniela sanguanini

    giugno 23, 2017 at 6:55 PM

    Complimenti, Lucius, è bellissimo questo articolo!

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  4. theobsidianmirror

    giugno 23, 2017 at 8:06 PM

    Non mi ero mai accorto della somiglianza tra incubo e i vari incubare, incubatrice, incubazione.. che poi se ci penso assomiglia anche a cubo….

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  5. Kukuviza

    dicembre 14, 2017 at 1:11 PM

    Dopo aver letto l’articolo credo di aver finalmente capito perché in un gioco in cui mi diletto ogni tanto c’è una creatura che corrisponde a un cavallo infernale ed è appunto chiamato “nightmare” e in italiano “incubo”. Non capivo bene il nesso.

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    • Lucius Etruscus

      dicembre 14, 2017 at 2:03 PM

      Uh, che gioco è?

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      • Kukuviza

        dicembre 14, 2017 at 2:18 PM

        Heroes of Might and Magic 5. Che poi c’è anche la Succubus che però viene tradotta come “Succube” e non come “Succubo” ed ha l’aspetto di una diavolessa tentatrice. (Ho letto anche l’altro tuo articolo che parla dell’argomento). Penso che avrebbero dovuto tradurre con la “o”.

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      • Lucius Etruscus

        dicembre 14, 2017 at 4:11 PM

        Eh sì, ma magari non stanno a fare ricerche per queste traduzioni. Sono totalmente digiuno di questo tipo di giochi quindi ti ringrazio per la deliziosa chicca: dimostra quanto incubus e succubus siano entrati in profondità nella cultura anglofona, e quanto siano quasi assenti nella nostra…

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      • Kukuviza

        dicembre 14, 2017 at 7:18 PM

        Non sono una grande esperta di videogiochi però ho visto che in genere le traduzioni non brillano per grande qualità. Già tanto che non ci siano errori. In effetti, la finezza succubo/succubo è una cosa troppo fuori portata per prodotti del genere.

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  6. zoppaz (antonio zoppetti)

    gennaio 19, 2018 at 12:55 PM

    Bellissimo questo pezzo! Davvero.

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