Adoro quando la fantascienza gioca con i due elementi cardine della nostra società: il linguaggio e la tecnologia. Due elementi che obbligatoriamente devono avere una parte importante in racconti che si immaginano il futuro nuovo millennio.
Ricordo ancora quando in edicola mi è caduto l’occhio su questa antologia di “Urania” (n. 1377, 19 dicembre 1999) che prometteva una ghiottoneria: “Anno 2000“, un’antologia con cui il celebre Harry Harrison raccontava come vari autori di fantascienza avessero immaginato il futuro Duemila. Solo ora scopro che l’iniziativa è molto più stagionata di quanto non appaia, visto che il libro originale risale al 1970, ma lo spirito è lo stesso.
Vista la disponibilità della nostra amica Vasquez, l’ho subito incastrata con un’altra “indagine” sul futuro passato!
Le lascio dunque la parola per una panoramica sulle chicche e curiosità dei singoli racconti, testimoni di un “futuro passato”, così da lasciare traccia di quest’opera e non correre il rischio di dimenticarmene ancora.
Devo dire che come raccolta questa è meno invitante rispetto all’altra, forse perché sono racconti su commissione, nel senso che è stato specificatamente chiesto agli autori di ipotizzare il futuro e scrivere un racconto ambientato nel 2000, allora, nel 1970. Ognuno ovviamente ci ha messo del suo, come dice il curatore Harry Harrison: «Bertram Chandler, capitano di marina mercantile, ha scritto un racconto marinaresco, mentre Daniel F. Galouye, abilissimo pilota di caccia, ha fatto ipotesi sul trasporto aereo. Ogni racconto, anche se diversissimo dagli altri (per quanto ne so, nessuno degli autori ha avuto scambi di opinioni con i colleghi durante la stesura), è simile a loro per un aspetto importante. Non ho imposto io questa somiglianza: è semplicemente la natura della bestia. Tutti i racconti riguardano la qualità della vita nell’anno 2000».
Fritz Leiber
America la bella
(America the Beautiful)
Gli americani hanno debellato del tutto lo smog, viaggiano su auto elettriche, e producono energia solo grazie al nucleare. Nelle case ci sono finestre panoramiche che mostrano il paesaggio esterno, più pulito dell’Olanda, ripreso da telecamere. Eppure sembrano esserci come delle ombre che aleggiano su cotanta perfezione.
Da continente a continente si viaggia a bordo di razzi, e su una rotta da una inquinata Londra fino alla pulitissima Dallas, seguiamo il viaggio di un conferenziere inglese, ospite presso una famiglia benestante, viaggio che diventa l’occasione per una serie di considerazioni di ordine sociale. Non so se ho afferrato il punto, ma è stato divertente trovare espressioni d’altri tempi come “locali di malaffare”, e dover ricorrere al dizionario per termini come “emolumenti” o “contumelie”.
Daniel F. Galouye
Prometeo rimesso in catene
(Prometheus Rebound)
Un’aeronave, la Prometeo Liberato con 750 passeggeri a bordo, è in volo da New York a Buenos Aires. Con un diametro di circa cento metri, decine di oblò sulla sua superficie di alluminio scintillante, la nave ammiraglia della Transequatorial Fluxway cavalca rotte induttive, lasciando il pozzo adiabatico e passando alla seconda fase d’accelerazione, lungo una linea di forza provvisoria. “George”, il pilota automatico, sta facendo casini, e la Prometeo continua a salire. Troppo.
Oltre 1.600 miglia quando non sarebbe dovuta andare oltre le duecento, e non si riesce ad impedire quest’ascesa. Il capitano e il pilota non sanno che pesci prendere, quando dai passeggeri si affaccia Ira Ambrose, vecchio pilota d’esperienza. Non sa nulla di magnetonautica, «ma porca vacca, il volo è volo! Vai su, giù; sinistra, destra; più veloce, più piano». Inutile dire che il suo intervento sarà fondamentale per rimettere quel «maledetto disco volante» sulla giusta rotta, perché tanto quelli del “Venitemi-a-prendere” non avrebbero mai fatto in tempo.
Chad Oliver
Lontano da questa terra
(Far from This Earth)
Stephen, che un tempo faceva parte della tribù dei kampa, adesso fa il guardiano al parco “Safariland”. Disilluso, insofferente nei confronti dei turisti e rabbioso verso i bracconieri che ancora uccidono i rinoceronti per i loro corni, sente nella globalizzazione (non viene usata questa parola, ma questo passaggio «Non erano più kamba, masai, pokot, taita, samburu: erano tutti uguali, formiche in un formicaio occidentale. Non solo gli africani. Tutto il mondo era legato alla stessa cultura… città, industrie, denaro, solitudine nello sciame umano» non lascia dubbi su cosa intendesse l’autore) si è perso qualcosa.
La bramosia di civiltà limita le scelte. Ha limitato le sue di sicuro. Ma lo spazio è vasto, non sulla sterile Luna, e nemmeno su Marte, ma da qualche parte si sarebbero potute far rivivere le tradizioni, dare ai giovani, che ormai non credono più in niente, una vita degna di essere vissuta.
Naomi Mitchinson
Dopo l’incidente
(After the Accident)
Un raro racconto di fantascienza scritto da una donna.
L’incidente del titolo è ovviamente di tipo nucleare, che ha creato conseguenze in termini di mutazioni, e di scelte di vita, soprattutto per quanto riguarda la riproduzione. Così una biologa sceglie di rimanere incinta per condurre un esperimento. Lo schema genetico suo e del padre del bambino ha fortunatamente dato vita a un colono, anche se malformato.
«Per un minuto ricaddi nel sonno. Era stato un successo. E, cosa sconcertante, sognai d’avere messo al mondo un normale bambino umano e capii che era proprio ciò che volevo, a livello mentale, ma che non avrei mai potuto avere.»
Decisamente è un dopo-incidente inquietante.
Mack Reynolds
L’utopista
(Utopian)
I viaggi nel tempo, quelli strambi.
Nell’anno 2000 l’unica forma di governo del pianeta è la democrazia nella sua forma più completa, fine di tutte le competizioni, abbondanza per tutti. All’apparenza il mondo umano ideale… e invece no! Perché se gli uomini non hanno nulla contro cui o per cui lottare succede che si rammolliscono.
I giovani smettono di studiare scienze e ingegneria, troppo difficili e non ne vale la pena; le nazioni più socialmente progredite hanno la più alta percentuale di suicidi; l’umanità è frustrata e senza stimoli… e l’unica via d’uscita è andare a prendere l’uomo che ha combinato questo guaio, anche se è morto decenni prima.
Brian W. Aldiss
L’orgia dei vivi e dei moribondi
(Orgy of the Living and the Dying)
Dall’introduzione all’edizione italiana del racconto, scritta dal mai troppo compianto Giuseppe Lippi, apprendo che Aldiss è l’autore del racconto Super-Toys Last All Summer Long del 1969, da cui il film A.I. – Intelligenza artificiale (2001) di Steven Spielberg. E anche solo scorrendone la trama al volo mi sembra molto meglio il racconto rispetto al film, figuriamoci a leggerlo!
Ma veniamo a questo, di racconto, che invece non mi ha granché soddisfatto. In un futuro dove si controlla il clima, e gran parte della popolazione mangia cibo prodotto in fabbrica, apprezzandolo pure, in India purtroppo le cose non vanno così bene. Aldiss racconta uno spaccato di vita in uno stabilimento dell’ENUEC, l’Ente delle Nazioni Unite per l’Eliminazione delle Carestie, nei pressi di Chandanagar, un piccolo villaggio di scarsa importanza geo-politica.
A. Bertram Chandler
Metamorfosi marina
(Sea Change)
Se vi sentite a vostro agio con termini come governabilità, colombiere, sala macchine, cime d’ormeggio e cime di riserva, pastecche spaiate e paranchi, argani prodieri, stralli di rinforzo, sartiole tesate, matafioni di terzarolo, imbrogliatura di vela, randa di trinchetto, scarrocciare, ingavonare e terzarolare, allora questo è il racconto che fa per voi!!!!
Devo dire che nonostante non abbia capito nemmeno la metà di tutti questi termini, il racconto scorre che è una meraviglia.
Il capitano Willis e sua moglie si sono fatti ibernare per una trentina d’anni, e adesso al risveglio quasi se ne pentono: la maggior parte dei loro amici sono morti o sono vecchi decrepiti, e loro due sono quasi al verde. In cerca di lavoro John Willis si trova spiazzato due volte: la prima perché la signorina all’Ufficio Federale di Collocamento ha il seno completamente in mostra (usanza moderna), e la seconda perché è risultato idoneo per un posto come capitano di mercantile. Quando è stato posto in sospensione nel 1967 lui navigava come capitano, e la sua qualifica è ancora valida, nonostante gli indubbi progressi che ci possono essere stati in oltre trent’anni.
Una volta in mare, a causa di un guasto le conoscenze del capitano vecchio stampo si renderanno non solo utili, ma indispensabili per portare a casa la pellaccia.
Fa specie leggere ancora di transistor, quando negli anni intorno al 2000 li avevamo già abbandonati da tempo, mentre ho provato un moto di tenerezza e nostalgia insieme quando parlando dell’intrico del sartiame sul ponte, l’autore lo paragona al gioco del ripiglino, intendendo quello che qui viene chiamato «il gioco della matassa».
(A. Bertram Chandler è diventato famoso perché portava nello spazio la sua conoscenza marinara, dando per scontato ciò che alla sua epoca scontato non era: che i viaggiatori spaziali avrebbero usato la stessa terminologia dei viaggiatori marittimi. Chandler ha aperto gli anni Sessanta parlando di equipaggi di astronavi che solcavano lo spazio spingendosi spavaldamente là dove nessuno era mai stato prima: se mai vi è piaciuto “Star Trek”, sappiate che Chandler scriveva le stesse identiche storie dieci anni prima. I termini “spazio-marinari” della Federazione li aveva già usati lui, e una volta ha portato l’equipaggio del comandante Grimes su uno strano pianeta… dove gli abitanti sono soliti girare nudi! Nota etrusca.)
Robert Silverberg
Nero è bello
(Black Is Beautiful)
Altro giro, altro racconto dove la moda per le donne è andare in giro con il seno in bella mostra, ma in un contesto completamente diverso. Siamo in una New York abitata quasi per intero da neri, dove i bianchi, chiamati spregiativamente “Cremini” vi si recano solo per turismo o per lavoro, «presto dentro, presto fuori, fai il tuo lavoro e smamma».
Ma James “Shabazz” Lincoln crede che i Cremini che entrano nella sua città lo facciano solo per vedere quello che le belle ragazze afro hanno da mostrare. Del resto nella Madreterra non si coprivano, non finché non sono arrivati i missionari, perché il loro Dio non sopporta un paio di tette nude. E poi si sa che le ragazze bianche non hanno molto da mostrare, in quel punto.
Non ho assolutamente la pretesa di aver letto tutti i racconti di fantascienza, ma ho come la sensazione che questo sia unico nel suo genere.
(Silverberg in originale usa il termine «Whitey» per i bianchi, che il traduttore rende con “Cremini”: doveva essere un termine ben noto, perché di lì a poco sarà l’espressione spregiativa usata più spesso da George Jefferson, il lavandaio nero della celebre serie TV “I Jefferson”, che però il doppiatore italiano tradurrà di solito con “mozzarella”. Nota etrusca.)
David I. Masson
Prendere o lasciare
(Take It or Leave It)
L’introduzione di Giuseppe Lippi al racconto dice che l’autore era uno scozzese, libraio antiquario appassionato di linguistica. E infatti il racconto è infarcito di strani termini che devono essere stati un incubo per il traduttore: arrostimenti (frying), edutivvù (edscreen), parlascrivi (talkwriter), dermopillola (skinpill), tapiro-lante (paternoster three), aiutavista (sight-aid), sessazionale (sexational), sessicidio (sexmurder), multimodo (multimode), rispondimat (responsomat), ecc.
Strani, lo so, ma nel contesto tutti perfettamente comprensibili. Che poi sono in pratica due racconti in uno: uno la versione edulcorata dell’altro, su di mondo povero di risorse, per quanto tecnologicamente avanzato. Il protagonista ad un certo punto viene disturbato da una serie di videochiamate:
«Hanno telefonato prima un Testimone di Giove, poi un Anglicano Metodista, poi uno Yogi. Mi sono liberato in fretta dell’A.M., ma il Testimone e lo Yogi hanno persistentato [persistented]. La chiamata dello Yogi era di sicuro una intervista computerizzata… lo si capisce dalle pause. Astuto come i ’piuter [’puters] analizzano il tuo vocabolario e inseriscono la risposta giusta. Solo che quello era stato di sicuro disposto per alta persistenza, non accettava un “no” come risposta».
Notevole.
Keith Laumer
Il legislatore
(The Lawgiver)
L’eccesso di crescita demografica porta a varare leggi che prevedono misure forse eccessive per il controllo delle nascite, a cui però nessuno può sottrarsi. Men che meno il senatore John Eubank, che ha dedicato trent’anni della sua vita per farle approvare.
J.J. Coupling
Essere uomo
(To Be a Man)
Se dopo una guerra, di un uomo sono rimasti solo gli occhi e il cervello, si può dire che è ancora un uomo?
Il corpo di Peter è stato interamente ricostruito, le fibre nervose sono state fatte ricrescere, il resto è plastica e metallo che si muove grazie all’energia di una cella a combustibile (propano, ma in caso di necessità anche la vodka va bene).
Le emozioni, le necessità, gli stati d’animo, il sonno, la lucidità mentale, la libido: tutto viene regolato tramite interruttori impiantati appositamente. E ce n’è uno persino per telecomandare la TV.
Difficile sentirsi uomo, in queste condizioni.
Thomas N. Scortia
Pesce-giuda
(Judas Fish)
Scarsità di risorse e sovrappopolazione portano a sommosse per la fame in tutto il mondo. Le ultime scorte di cibo si nascondono nelle profondità marine, dove Boyer fa quello che fanno tutti gli addetti alle Stazioni Abissali: modificare l’RNA messaggero dei pesci affinché, una volta re-immessi nei banchi di appartenenza, essi – i pesci-giuda – ne prendano il controllo, portando se stessi e la loro specie direttamente nelle reti a pressione per finire come proteine e grassi negli impianti di lavorazione.
Tutto procede come da routine nella Stazione Abissale Sei, finché una specie di calamaro gigante si intromette disturbando i banchi di pesci proprio un attimo prima che arrivino a destinazione. Si direbbe quasi di proposito…
Harry Harrison
L’America è morta
(American Dead)
Come per la raccolta precedente Crimini e misfatti al computer, anche qui il curatore dell’antologia si è tenuto per sé l’ultimo racconto. E nell’introduzione allo stesso, Giuseppe Lippi mi informa che Harry Harrison è l’autore di Largo, largo! (Make Room! Make Room!) da cui è stato tratto il film con Charlton Heston 2022. I sopravvissuti (Soylent Green, 1973) di Richard Fleischer.
Il protagonista di questo si chiama Francesco Bruno, di origini siciliane, giornalista in zona di guerra di cui Harry Harrison non ci risparmia nessuna atrocità.
Come ho detto, questa raccolta mi è sembrata meno ispirata rispetto alla precedente, ma in ogni caso interessante: come fare un viaggio nel tempo. O in un universo parallelo. Gettare uno sguardo dove le cose sono andate diversamente rispetto a questo universo che ci troviamo ad abitare. Dio! Adoro la fantascienza!
V.
Ringrazio Vasquez per la disponibilità e la voglia di condividere, rimanendo in attesa di altri suoi contributi.
L.
– Ultime “indagini”:
- Anno 2000 (1970) guest post
- Crimini e misfatti al computer (1983) guest post
- Se una notte un personaggio (5)
- Se una notte un personaggio (4)
- Se una notte un personaggio (3)
- Se una notte un personaggio (2)
- Se una notte un personaggio (1)
- X-Files (3×17) Il Persuasore memetico (X-Lucius)
- L’impero dei cadaveri (2015) e le indagini etrusche
- King vs X-Files: personaggi ribelli
Vasquez
marzo 22, 2023 at 11:14 am
Essere felicemente “incastrata” nei guest post:
✅️ Fatto! Posso spuntarlo dalla lista 😛
A parte gli scherzi, per me è sempre un piacere, anche perché sennò anch’io avrei senz’altro dimenticato queste mie considerazioni.
A proposito del racconto di Silverberg e di quel termine dispregiativo verso i bianchi, non avevo pensato di andare a vedere come fosse il termine originale, e anche adesso che lo so, non saprei dire sinceramente quale tra le due traduzioni – Cremino e Mozzarella – possa suonare più offensivo.
La qual cosa mi ha fatto pensare a un altro termine usato per offendere “i visi pallidi”, messo su carta da Stephen King nella sua Torre Nera. Sono andata a verificare l’originale che credo non abbia corrispettivo nell’inglese “ufficiale” (così come non ne ha la traduzione che ne fece il buon Tullio Dobner). Del resto King ci dice che ‘Detta Walker (colei che diventerà Susannah Dean, pistolera nera e senza gambe) usa un finto gergo dei bassifondi.
In inglese è “honk mahfahs”;
in spagnolo diventa “blancos hijeputas”;
in francese è “culés d’culs blancs”;
in italiano leggiamo “stinti cazzuti”.
Non so quale di queste traduzioni sia più calzante, e non mi è mai piaciuta molto neanche quella italiana, con la quale credo volesse intendersi qualcosa come “maschi slavati” ma con annessa parolaccia, che probabilmente in qualche modo è insita nell’espressione originale. In ogni caso bisogna rendere merito a Dobner per la creatività e l’inventiva.
E all’Etrusco per avermi fatto (ri)scoprire tutto questo 😉
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Lucius Etruscus
marzo 22, 2023 at 11:37 am
Lo slang è sempre un guaio per i traduttori, soprattutto quando poi appartiene a culture assenti in Italia. Non li invidio, anche perché per accurati che siano dovranno per forza snaturare l’originale.
Quel “whitey” non sembra offensivo, ma magari invece nei Settanta era un termine forte.
Oltre a ringraziare te per il post, estendo il ringraziamento a tutti i traduttori che fanno i salti mortali per noi ingrati lettori 😛
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Vasquez
marzo 22, 2023 at 12:30 PM
Onore a tutti i traduttori 😉
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Vasquez
marzo 23, 2023 at 9:31 am
Scavando per bene tra le macerie della Torre Nera ho trovato un “white boy” che probabilmente non andava bene tradurre con “ragazzo bianco”, a causa del linguaggio sboccato e volgare di ‘Detta Walker, e quindi Tullio Dobner lo ha reso con “bianchiccio”, che trovo più calzante rispetto all’altro adattamento.
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Lucius Etruscus
marzo 23, 2023 at 9:36 am
“Pretty fly, for a white guy” cantavano gli Offsrping 😛
Penso abbia fatto bene il mitico Tullio, perché mi pare di capire che il semplice “white” in America sia un qualcosa che sminuisce, come a dire “non sei fico”, perciò “bianchiccio” rende quel senso di leggera offesa.
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Vasquez
marzo 23, 2023 at 9:52 am
Unos dos tres
Quatro cinco cinco seis
😀
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