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Chiara Prezzavento e i misteri del Bardo

13 Mar

È con enorme piacere che presento un’intervista nuovissima a Chiara Prezzavento, appassionata blogger ed autrice instancabile che ho avuto il piacere di conoscere nel 2010, quando la invitai a partecipare al mio ciclo di articoli su Shakespeare di ThrillerMagazine. Il risultato è un testo meraviglioso che vi invito caldamente a leggere, visto che lo trovate nell’eBook gratuito intitolato Mistero Shakespeare.

Gli anni sono volati ed è il momento di farla conoscere ai lettori di “Non Quel Marlowe”… visto che lei è una fervente ammiratrice di quel Marlowe!

Chi è Chiara Prezzavento? E perché il titolo del suo blog… ha una parola sbagliata?

Vediamo un po’… Chiara – conosciuta in rete come la Clarina – è un’anglomane, una scribacchiatrice di romanzi storici e teatro, un’editor, una traduttrice (ma non di narrativa), una blogger, un’appassionata di storia e letteratura elisabettiane, una che fa gavetta da aiuto-regista e lighting designer… E ammetto che detto così suona come se non avesse le idee terribilmente chiare – ma c’è un metodo nella sua follia. O almeno le piace crederlo. Nel tentativo di convincersene posta in proposito, due o tre volte la settimana, su un paio di blog. Uno è in Inglese e ha un titolo ragionevole: Scribblings. E in Italiano c’è Senza Errori di Stumpa, che si chiama così perché… Be’, c’erano una volta quelle copie omaggio dei libri scolastici che le case editrici fornivano in visione agli insegnanti. Una volta, alla madre della Clarina, arrivò un’antologia corredata di una meravigliosa fascetta che diceva “Versione riveduta e corretta senza errori di stumpa”… Era così meravigliosamente nonsense che la frase entrò subito nel lessico famigliare per indicare qualcosa cui forse è meglio lavorare ancora un po’. E quando si è trattato di aprire un blog che parlasse di scritture in corso, editing, letture ed esperimenti vari, mi è sembrato un titolo perfetto.

La cultura elisabettiana ha un forte ascendente sia sulla narrativa, che saggistica: quanto è importante questo periodo per te?

Non pretendo di suonare terribilmente sensata nel dire questo genere di cose, però – pur essendo passati così tanti anni che il titolo preciso è perduto tra le nebbie dell’oblio – ricordo perfettamente la sensazione di aprire un libro che parlava di Inghilterra elisabettiana e di avere provato quel senso di confortante familiarità che di solito si prova tornando a casa. A scuola ho studiato Francese, e la letteratura inglese è sempre stata una passione coltivata in via personale e disordinata. Shakespeare per anni l’ho conosciuto soltanto a teatro – e in traduzione, perché c’è voluto del tempo per poterlo affrontare in originale… E per di più, in Italia vigono ancora tante convenzioni bardolatriche su Shakespeare-astro solitario. Quando ho cominciato ad approfondire il suo linguaggio e la sua epoca, ho scoperto un mondo incandescente, popolatissimo e pieno di fascino – e non me ne sono più andata. Da lì a volerne scrivere, poi, il passo è stato breve.

Tra l’altro è un’epoca narrativamente e saggisticamente perfetta, con un’infinità di spunti e di storie, e tanto spazio per la speculazione, i dubbi e le domande… Non dico che vorrei viverci, perché era un’epoca violenta, crudele e non pulitissima, in cui le donne avevano ben poco spazio e pensare per sé poteva essere rischioso – ma per scriverne, non si può volere di meglio.

Oltre a scrivere curi anche delle conferenze: come ti trovi ad alternare la parola scritta e quella orale?

Di solito, quando mi si chiede delle mie conferenze, rispondo che sono una scusa per rifilare quantità invereconde di elisabettianerie assortite a un pubblico che ha qualche difficoltà a scappare… e scherzo solo a metà. Il fatto è che, una volta avviata a parlare di Shakespeare, Marlowe, teatro elisabettiano e cose così, bisogna abbattermi a colpi di sedia per farmi smettere. Quando qualche innocente mi fa una domanda in proposito a cena o in altre occasioni sociali, avverto sempre: sicuro di volermi sguinzagliare? È pericoloso… Sono pericolosa.

Ma no, seriamente: confesso che mi piace molto parlare in pubblico. Raccontare. Osservare la reazione degli ascoltatori… Immagino che si possa biasimare la mia formazione teatrale, per questo – ma trovo che ci sia qualcosa di magico nel rapporto diretto con il pubblico.

Ci siamo conosciuti dando la caccia al Grande Bardo: è ancora attuale l’affascinante questione sulla vera identità di Shakespeare? Come risponde il tuo pubblico durante le conferenze su questo argomento?

Ancora attualissima, si direbbe. E credevo che fosse una faccenda prettamente anglosassone, ma dopo tutto pare che non sia più così. Qui non siamo ai livelli di Oltremanica e Oltretinozza – dove accademici e non-accademici si meta-accoltellano in proposito – ma persino nella placida Mantova si cominciano a vedere segni quasi allarmanti. Un paio di anni fa ho sentito al Festivaletteratura la conferenza di un organista norvegese (!) sicurissimo di avere scoperto che a scrivere il canone shakespeariano sono stati i Rosacroce, con Francis Bacon in testa, nel tentativo di riformare l’umanità. No, davvero. E lo scorso anno qui è uscito un romanzo con pretese semisaggistiche, secondo cui Shakespeare era il frutto della relazione adulterina fra il guantaio di Stratford e la figlia illegittima di Baldassarre Castiglioni – e quindi gli Anni Perduti li avrebbe passati tra la corte di Mantova, Venezia e l’università di Bologna. Mah…

Poi bisogna dire che a questo genere di eccentricità il pubblico tende a rispondere con reazioni che vanno dal divertito scetticismo all’orrore incredulo. Credo che fino all’uscita di Anomymous (abominevole film!) quasi nessuno in Italia avesse sentito parlare della Authorship Question. Adesso non è più strettamente così, ma c’è sempre un certo grado di sorpresa nello scoprire quanto sia feroce il dibattito nel mondo anglosassone.

Il nostro caro Marlowe – proprio “quel” Marlowe – è ancora importante per le tue letture e per ciò che scrivi?

Eccome! Mi si dice che non sono nulla se non persistente nelle mie infatuazioni. Kit [per chi non lo sapesse, Christopher Marlowe. N.d.R.] è al centro di vari progetti – traduzioni, un play e mezzo, conferenze… ed è un personaggio chiave nel romanzo che sto scrivendo, una vicenda di attori nella Londra di fine Cinquecento. Sospetto che dovesse essere insopportabile di persona – un provocatore per il gusto della provocazione, con un ego delle dimensioni di un fox terrier – ma era anche uno straordinario poeta e un uomo di grande coraggio intellettuale. Voglio dire: probabilmente l’unico ateo dichiarato del Rinascimento inglese, in un’epoca in cui le posizioni eterodosse portavano alla forca più spesso che no… Ed è un genere di coraggio che ammiro moltissimo. Dopodiché, narrativamente parlando, il fatto che fosse un attaccabrighe tremendo e probabilmente una spia, aiuta da non dirsi.

Malgrado i tuoi molti impegni riesci lo stesso a tenere aggiornato un blog a cadenza serrata: lo consideri un impegno in più o una valvola di sfogo?

Sinceramente? Secondo le giornate. Un tempo postavo quotidianamente, poi ho smesso, perché era impegnativo e faticoso. E poi, giusto per facilitarmi la vita, ho avviato anche Scribblings – così adesso posto quattro o cinque giorni a settimana. E a parte brevi periodi di assennatezza di quando in quando, non sono così brava e lungimirante da preparare i post in anticipo. Più spesso che no mi riduco a scrivere all’ultimo momento utile… Il che è un esercizio sempre stimolante, visto che tendo a funzionare meglio con una scadenza che mi pende sulla testa – ma anche una pressione di cui, certi giorni, farei volentieri a meno.

Confesso che ogni tanto considero la possibilità di sopprimere l’uno o l’altro blog… Però poi non lo faccio mai. Di nuovo: mi piace molto il contatto con il pubblico – anche se, un po’ perché la piattaforma non sempre è d’aiuto e un po’ per ragioni misteriose e insondabili, l’interazione avviene in buona parte via mail – e mi piace anche avere un posto in cui rimuginare per iscritto idee, lavori in corso, frustrazioni, entusiasmi e teorie.

So che recentemente hai pubblicato un’antologia di racconti: come hai trovato quella esperienza?

Mah… È stato molto interessante scegliere le storie e tirarle a lucido, impaginarle, creare la copertina e mettere insieme l’ebook. Ho voluto provare a fare tutto da sola, per vedere se ne ero capace. Dopodiché, se dovessi dire che Bric-à-Brac è stato un travolgente successo editoriale, mentirei. Mi si dice, a titolo consolatorio, che i racconti non tirano granché. O forse i racconti storici. Ma se invece fossero i miei racconti storici a non tirare? E poi, da un lato, sospetto che i lettori di narrativa storica italiani non siano il gruppo più digitalizzato del creato universo. Dall’altro, ho imparato che il self-publishing forse non fa per me, perché in fatto di marketing sono un completo e totale disastro. E insomma, diciamo che è stata un’esperienza istruttiva.

Gestisci ben due compagnie teatrali: come riesci a non impazzire?

No, no – per carità: io non gestisco nulla. Per l’Accademia Campogalliani scrivo, traduco e adatto – credo che mi si possa considerare una specie di autore residente. Con Hic Sunt Histriones è un po’ più complicato. Ho cominciato sette anni fa scrivendo, e adesso faccio anche aiuto-regia, lighting design, l’occasionale direzione di palcoscenico… da quest’estate sono anche tornata a recitare – e questo è stato veramente folle.

Poi con l’aiuto di entrambe le compagnie curo il progetto Il Palcoscenico di Carta/The Paper Stage, una faccenda di letture teatrali pubbliche in collaborazione con l’Università del Kent e la Royal Holloway di Londra. In pratica, ci si riunisce e si legge ad alta voce un testo teatrale. L’aspetto geniale è che, insieme agli attori “veri”, chiunque può leggere una parte. Abbiamo un certo successo, devo dire – e quando lo scorso novembre abbiamo letto il Doctor Faustus di Marlowe in contemporanea a Canterbury, Londra e Mantova, è stata una favolosa esperienza.

Quindi, ripeto: non gestisco nulla, ma ho l’enorme fortuna di lavorare con due compagnie che mi assecondano anche quando mi avvio in direzioni… bizzarre.

C’è un libro nel tuo cassetto? Un progetto che vorresti concretizzare nell’immediato?

Be’, c’è il romanzo in corso. Come dicevo prima, è ambientato nella Londra elisabettiana, ed è una faccenda di attori – un attore in particolare: Edward Alleyn, star di fine Cinquecento, e creatore di quasi tutti i grandi ruoli marloviani. Mi sembra logico pensare che, in una situazione del genere, attore e autore dovessero influenzarsi a vicenda – ed è quello su cui sto lavorando. Ed è in Inglese. Da un lato, a volte certe storie vogliono essere raccontate in una lingua e proprio in quella. Dall’altro, più pragmaticamente, credo di poter trovare più interesse e più mercato Oltremanica. In Italia Alleyn è del tutto sconosciuto, e Marlowe poco meglio. Sull’Isoletta è diverso. Finora ho avuto feedback… incoraggiante. Stiamo a vedere che succede.

Intanto posso dire che è stato interessante tornare a recitare – dopo quasi vent’anni – proprio mentre scrivevo su un attore. Credo che le due cose si siano condizionate a vicenda: ho avuto delle esperienze immediate e dirette da prestare a Ned, e scrivere di recitazione ogni giorno mi ha aiutata a disciplinare quello che facevo sul palcoscenico.

Per finire, un sogno ad occhi aperti. Se ti proponessero di fare un film da uno dei testi che hai messo in scena, tuo o firmato da altri, quale sceglieresti?

Oh, questo è davvero difficile. In realtà, credo che, per ovvi motivi, la mia scrittura sia più teatrale che cinematografica. Però… Certo mi piacerebbe vedere Ned muoversi in una Londra ricostruita, e un giorno o l’altro riuscirò a trascinare qualcuno a fare un film muto per gioco – ma, se dovessi scegliere, credo che opterei per il mio eterno lavoro in corso sull’ultimo assedio di Costantinopoli, nel 1453. È una storia che prima o poi finirò – e che, tra l’altro, aveva visto la luce proprio come esercizio di sceneggiatura durante un corso alla Scuola Holden, tanti anni fa. Poi ne ho fatto un romanzo dal punto di vista dell’assediante Mehmet Fatih, e poi ho aggiunto gli assediati bizantini, veneziani e genovesi, e poi, e poi… Oh, prima o poi ne verrò a capo, e credo che, tra le mie storie, sia la più adatta a uno schermo cinematografico. Però alla vecchia maniera, con il minimo indispensabile di effetti speciali. Non dico senza – perché gli effetti speciali sono parte della natura e meraviglia del mezzo, fin dai suoi primordi – ma senza eccedere in fatto di CGI, grazie. E mi piace come lo dico – come se l’autore del romanzo di partenza o lo sceneggiatore potessero mai avere voce in capitolo… ma qui stiamo giocando, giusto?

Ringrazio di cuore Chiara per la sua grande disponibilità e non posso non notare che continuiamo a condividere interessi e passioni, senza saperlo. Scopro che nel 2011 ha scritto un monologo (Aninha) su Anita Garibaldi, che io mi sono divertito a far sopravvivere alla propria morte (Anita Nera) e da quest’ultima risposta scopro che anche lei è appassionata dell’assedio del 1453, che dal punto di vista della storia dei libri e della storia occidentale è stato l’anno in cui tutto è cambiato…. Non esisterebbe la modernità senza quell’assedio, quindi attendo con ansia il completamento dell’opera di Chiara!

L.

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10 commenti

Pubblicato da su marzo 13, 2017 in Interviste

 

10 risposte a “Chiara Prezzavento e i misteri del Bardo

  1. Ivano landi

    marzo 13, 2017 at 7:26 am

    La grande studiosa Frances Yates in una vecchia ‘intervista a “Il Giornale dei Misteri” arriva a confessare una sua convinzione che non aveva osato mettere nero su bianco nel suo “Gli ultimi drammi di Shakespeare”: che gli attori di Shakespeare fossero effettivamente i Rosacroce.

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    • Lucius Etruscus

      marzo 13, 2017 at 7:33 am

      Le ipotesi su Shakespeare sono vaste quanto la sua fama, peccato che abbiano la stessa consistenza della sua vita: cioè nulla.
      Si sono più prove dell’esistenza di Babbo Natale che di Shakespeare, e forse questo è parte del suo fascino. Nel saggio gratuito che linko mi diverto a seguire alcune tracce famose – tipo la pista del Bardo siciliano – e a mostrare i falsi che sono alla loro base. Mi diverto pure a “creare una vera storia” di Shakespeare, per dimostrare che prendendo dati veri si può facilmente creare una storia falsa.
      Insomma, per gli amanti del mistero di Shakespeare è un saggio che consiglio altamente… e non solo perché l’ho scritto io! 😀
      L’intervento di Chiara al saggio è unico e insostituibile, parlandoci di alcuni libri inediti che giocano con la questione 😉

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  2. la Clarina

    marzo 13, 2017 at 10:07 am

    Grazie a te, Lucius. È stato veramente un piacere – anche se devo confessare che, pur avendo scritto su di lei, per Anita/Aninha non ho poi tutta questa simpatia. 😉

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  3. zoon

    marzo 13, 2017 at 10:58 am

    devo molto a quest’autrice per il mio 2016 da autore: esattamente un anno fa, dopo aver dato una svolta da shock alla mia vita, ero agitato da strane suggestioni e una premiazione poetica lunga quanto due quaresime, nell’angolo del bookcrossing cosa trovo? il libro su annibale, della prezzavento.
    l’ho divorato almeno due volte, mi ha dato lo spunto fortissimo per scrivere un nuovo capitolo del ciclo “impero connettivo” e in qualche modo è stato il catalizzatore anche del secondo romanzo che ho scritto poco dopo aver terminato quello imperiale. con gli occhi del presente, credo di aver sfiorato l’autrice molte volte negli anni precedenti, nei miei fugaci soggiorni a ostiglia…

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    • Lucius Etruscus

      marzo 13, 2017 at 11:02 am

      Incredibile, le connessioni ci stringono tutti in una morsa d’acciaio! Chiara non fa che ispirare lettori e scrittori ^_^

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    • la Clarina

      marzo 14, 2017 at 9:53 am

      Leggere questo mi fa molto, molto piacere. Si sa che nessuno scrittore è un’isola – ma scoprire di avere fornito spunti in questo modo è infinitamente lusinghiero. 🙂

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