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Anita Hill e il pelo pubico dell’Esorcista

12 Lug

Ogni storia vera è preceduta da un romanzo…

Più volte ho citato in questo blog l’espressione “la precessione dei simulacri”, che ho conosciuto grazie al geografo-filosofo Franco Farinelli il quale la analizzava prendendola dal filosofo Jean Baudrillard: significa che la mappa viene prima del territorio, che l’immagine del mondo viene prima del mondo… e quindi che la finzione viene prima della realtà.
Le conferme di questo arrivano dappertutto… anche da una controversa vicenda legale americana.

La questione di Anita Hill l’ho conosciuta attraverso il film televisivo che la celebre HBO ne ha tratto: “Confirmation” (trasmesso originariamente il 16 aprile 2016) di Rick Famuyiwa, con Kerry Washington nel ruolo da protagonista.

Kerry Washington nel ruolo di Anita Hill (© 2015 HBO Films)

Nel 1991 il giudice afroamericano Clarence Thomas doveva essere riconfermato alla Corte Suprema e si stavano svolgendo le audizioni in Senato: avendo l’appoggio di George W. Bush, Thomas era in una botte di ferro. Ma all’improvviso subisce l’accusa più infamante di tutte, per gli americani: molestie sessuali, anche se solo verbali. (Beati gli americani che non hanno accuse di truffa, corruzione, furto e mafia…)

Wendell Pierce nel ruolo del giudice Thomas (© 2015 HBO Films)

Ad accusarlo è la sua collaboratrice dell’epoca alla Commissione per le Pari Opportunità: Anita Hill.
Nel processo che ne nascerà, dall’enorme eco mediatica, la donna viene assistita dall’avvocatessa Catharine MacKinnon, che nel 1986 aveva ideato e fatto approvare la legge che definisce reato civile le molestie sessuali, divenendo da allora paladina del femminismo. Lo stesso non riesce a far vincere la sua cliente, e quando nell’ottobre 1991 la MacKinnon viene in Italia per tenere una conferenza all’Università di Roma “La Sapienza”, alla giornalista de “la Repubblica” Anna Maria Mori così racconta:

«La sua [di Anita] accusa è stata respinta per ragioni in qualche modo “formali”: i fatti erano avvenuti precedentemente all’approvazione della mia legge sulle molestie sessuali, che data dall’86. E il reato in questione è di quelli che, secondo la mia stessa legge, cadono in prescrizione dopo 180 giorni. Ma non è vero, è riduttivo dire oggi che Anita Hill ha perso: ha vinto, se non altro per aver avuto dalla sua, e per la prima volta in America di fronte a un fatto del genere, il trenta per cento dell’opinione pubblica. La Hill è riuscita a portare dalla sua parte la maggioranza delle donne americane, per la sua straordinaria credibilità: perché è nera, e accusava un giudice nero come lei; perché ha una forte personalità, e un’alta autorità professionale e scientifica.»
(da “la Repubblica”, 29 ottobre 1991)

L’esito negativo del processo è l’aspetto minore, quasi ignorato della vicenda: la tempesta mediatica che ne è seguita ha giocato sulla divisione del pubblico fra chi credeva in Anita e chi no. In mancanza di prove, è stato un gioco al massacro sull’onda emotiva.

Per esempio l’autorevole casa editrice Macmillan presenta nel 1993 il saggio “The Real Anita Hill. The Untold Story” del giornalista David Brock, che amplia un testo scritto nel 1992 per il giornale “American Spectator”.
Brock parteggia per il giudice a sbugiarda la Hill, ma è tutto falso. Il giornalista stesso ritratterà tutto in “Blinded by the Right. The Conscience of an Ex-Conservative” (2002), in cui affermò di aver inventato le accuse perché voleva sostenere la causa dei repubblicani, affermando che tutti sapevano che il giudice Thomas amava situazioni pruriginose. (Inoltre parla di agenti dell’FBI che l’avevano messo al corrente di fatti riguardanti la Hill che poi hanno negato.)
Cosa può esserci di “reale” in tutto questo?

Nel saggio “Strange Justice. The Selling of Clarence Thomas” (1994) le giornaliste Jane Mayer e Jill Abramson raccontano che il giudice Thomas aveva un noto interesse per il mondo pornografico sin dai tempi scolastici, e che suoi amici l’hanno udito fare apprezzamenti sessuali anche in altri casi, oltre a quelli che Anita Hill ha denunciato. Tutto questo agli occhi degli americani suona oltremodo scandaloso, perché loro non hanno la più corrotta classe politica della storia: se un pezzo grosso ha visto un porno o fa una battutina ambigua per gli americani è il massimo dell’ignominia. In Italia fa curriculum per la Presidenza del Consiglio…
Il libro comunque è un bestseller ed è nominato per un National Book Award: anche se non viene mai detto, il sottotesto è che un giudice della Corte Suprema abbia mentito sotto giuramento.

Quindi il giudice Thomas era un porco e Anita Hill aveva ragione? Quindi il Sistema ha rigettato le accuse della donna per proteggere lo status quo? Quindi la verità in tribunale non esiste, esiste solo l’interesse (cioè l’immagine)? Non sembra importare molto, perché l’unica cosa che conta è che l’opinione pubblica si sia azzuffata per anni sulla questione, basandosi esclusivamente sulle chiacchiere: cioè sull’immagine. E l’immagine viene sempre prima della realtà…
Nell’ottobre del 2010, forse per rinfrescare la questione e avere un altro po’ di attenzione dei media, Virginia Thomas – la moglie del giudice – ha informato i giornalisti di aver lasciato un messaggio nella segreteria telefonica di Anita Hill chiedendo, anzi pretendendo le scuse per le infamanti accuse avanzate 19 anni prima. Un gesto ridicolo che dimostra quanto la pubblicità, positiva o negativa, venda sempre.

Cosa sta agitando in aria il senatore Hatch?

Fra i racconti di molestie sessuali, Anita Hill ha testimoniato che il giudice Thomas un giorno stava bevendo una bibita quando si avvicinò a lei e chiese «Chi ha messo un pelo pubico sulla mia Coca?» (Who has put pubic hair on my Coke?).
Con tutto il rispetto per la donna, al di là di un certo cattivo gusto forse parlare di “avance sessuale” mi sembra un po’ esagerato, comunque dopo questa testimonianza il senatore Orrin C. Hatch, dello Utah, controbatte in modo plateale: sventolando cioè in aula una copia del romanzo “L’esorcista” (The Exorcist, 1971) di William Peter Blatty.

Dylan Baker nel ruolo del senatore Hatch

ORRIN HATCH: Ha mai letto questo libro?
CLARENCE THOMAS: No.
ORRIN HATCH: L’esorcista.
CLARENCE THOMAS: No, senatore.
ORRIN HATCH: Ha mai visto il film?
CLARENCE THOMAS: Ho visto solo la scena con il letto che fluttua.
ORRIN HATCH: […] Lei afferma di non aver mai pronunciato la frase “Chi ha messo un pelo pubico sulla mia Coca?” […] A pagina 70 di questa particolare edizione de L’esorcista, [legge] «Oh Burke», sospirò Sharon. Sta descrivendo l’incontro fra il senatore e il regista, «Denny lo informò che – cito – c’era un pelo pubico estraneo che galleggiava nel mio gin.» Lei pensa che sia una coincidenza? [Anita Hill] vuole farci credere che lei ha detto queste cose per strapparle un appuntamento: cosa ne pensa, giudice?
CLARENCE THOMAS: Senatore, credo che l’intera faccenda sia malsana.
(da The Complete Transcripts of the Clarence Thomas – Anita Hill Hearings. October 11, 12, 13, 1991, a cura di Anita Miller, Academy Chicago Publishers 1994.)

Entra così in ballo il “simulacro”: per screditare l’accusatrice si invoca il sospetto che la donna si sia ispirata al romanzo del 1971 di William Peter Blatty per la sua accusa. La realtà (l’accusa della Hill) è preceduta dalla finzione (il romanzo di Blatty).

L’esperto di comunicazione Charles Osgood, all’epoca sotto contratto con la CIA, scoprì che associare il romanzo sulla possessione satanica ad Anita Hill colpì l’opinione pubblica molto più profondamente di qualsiasi reale prova, come racconta Douglas Rushkoff in “Media Virus! Hidden Agendas in Popular Culture” (1994).
«Se lei [Anita Hill] l’avesse paragonato ad un insetto, Hatch probabilmente avrebbe agitato in aria una copia delle Metamorfosi di Kafka», ha affermato Garry Wills nell’articolo Thomas’s Confirmation: The True Story, da “New York Review of Books”, 2 febbraio 1995.

La questione viene risolta sbrigativamente con del sarcasmo. «Come nelle tragedie di Shakespeare, anche il processo Thomas-Hill ha avuto momenti di commedia», commenta Scott Douglas Gerber nella sua biografia “First Principles: The Jurisprudence of Clarence Thomas” (1999).

La questione Thomas-Hill è spinosa e ancora nel 2016, in occasione del citato film televisivo, si è fermi al “non detto”: l’attrice protagonista si agita in video come se fosse stata stuprata dal giudice, mentre racconta di aver subìto battutacce di cattivo di gusto – sicuramente esecrabili ma molto lontane da una violenza fisica – mentre l’attore che interpreta Thomas ha lo sguardo colpevole e si guarda in giro come se avesse nel portabagagli il cadavere di qualcuno. La sceneggiatrice Susannah Grant non può dirlo apertamente, perché il processo ha dato ragione al giudice, ma il sottotesto del film è che Anita aveva ragione: il che, però, non spiega nulla.

L’umorismo di cui viene ammantata la scena del senatore Hatch che sventola la copia de L’esorcista non spiega perché l’accusa della Hill sia così simile ad una frase presente nel libro. Se la Hill ha detto la verità, come tutti ci suggeriscono, allora anche quella frase è stata pronunciata dal giudice: per caso lui stava citando il romanzo di Blatty? Nessuno ne parla.
Eppure è lì la chiave di tutto: dimostra che nel teatro mediatico che è la politica, il copione precede sempre la messa in scena: la finzione precede sempre la realtà.

«Sembra ci sia un pelo di un pube estraneo nel mio drink»
(There seems to be an alien pubic hair in my drink)
dal film L’esorcista (The Exorcist, 1973) di William Friedkin

Essendo Blatty autore sia del romanzo che della sceneggiatura del film, la “frase incriminata” è presente in entrambi:

«Burke, naturalmente» sospirò Sharon. Scegliendo le parole, le descrisse la scenetta tra il senatore e il regista. Dennings, come se niente fosse, parlando col senatore aveva detto che pareva vi fosse «pelo di pube altrui che sguazza nel mio gin». Poi con tono vagamente, accusatore, aveva soggiunto: «Io questo pelo non lo avevo mai visto prima d’ora. E lei?».
(da L’esorcista, Mondadori 1971, traduzione di Mario Basaglia)

Il giudice Thomas era un esperto di film porno, visto che nelle sue allusioni sessuali alla Hill cita anche il celebre porno-divo superdotato Long Dong Silver, quindi magari ha preso la scena summenzionata de L’esorcista e l’ha “fusa” con la celebre scena della Coca-Cola del film Gola profonda (Deep Throat, 1972) e ne è nata una punchline perfetta per la cultura pop: Who has put pubic hair on my Coke?.
Nessuno dunque ha mai indagato né risposto alla precisa domanda posta dal giudice Thomas: possibile nessuno abbia mai appurato chi abbia messo quel pelo pubico nella Coca-Cola? Possibile che nessuno abbia fatto qualcosa in proposito? Be’, non è risaputo ma… qualcuno ha fatto qualcosa

Il 14 ottobre 1991, indignato da quanto affermato nel processo Thomas-Hill, Lazlo Toth – dirigente della Coca-Cola Company – scrive che dopo ore passate a discutere su come la società dovrebbe reagire, «francamente credo che la tattica migliore sia ignorare del tutto la questione». Il 28 ottobre successivo il vice-presidente Earl T. Leonard concorda con questo piano d’azione, ma Toth ha un sassolino nella scarpa che si deve togliere.
Lo stesso 14 ottobre scrive al senatore Joseph Biden jr., esperto in questioni di accuse a sfondo sessuale, lamentandosi del fatto che durante il processo Thomas-Hill nessuno in aula si sia preoccupato di chiedere scusa alla Coca-Cola per una testimonianza così sordida.

«La testimonianza della professoressa Anita Hill, secondo la quale il giudice Clarence Thomas avrebbe detto “Chi ha messo un pelo pubico sulla mia Coca”, è una delle cose più disgustose e repulsive che ho mai sentito sulla TV nazionale, ma lei ha permesso che i senatori degli Stati Uniti ripetessero la frase ancora ed ancora!»

Perché il nome della ditta non è stato omesso, visto che non aveva alcuna rilevanza ai fini processuali?, si chiede l’indignato Toth.
La rivista che riporta questa corrispondenza – “Mother Jones Magazine”, maggio-giugno 1992 – si premura di specificare che a quest’ultima lettere non c’è stata alcuna replica.
Questa dovrebbe essere ricordata come la parte divertente della storia, non quella relativa alla citazione da L’esorcista: non c’è niente di divertente nella precessione dei simulacri… perché è questa che comanda ciò che noi impropriamente chiamiamo realtà!

Che il famoso pelo… provenga dalla barba di Babbo Natale?

L.

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9 commenti

Pubblicato da su luglio 12, 2017 in Books in Movies, Indagini

 

9 risposte a “Anita Hill e il pelo pubico dell’Esorcista

  1. zoon

    luglio 12, 2017 at 7:32 am

    la realtà non esiste, sembra sempre più acclarato. quindi se ciò dovesse essere davvero “reale”, cosa saremmo noi, una finzione all’ennesima potenza?

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    • Lucius Etruscus

      luglio 12, 2017 at 7:36 am

      Siamo della stessa materia di cui sono fatti i sogni, scriveva il misterioso autore che per convenzione chiamiamo Shakespeare: noi siamo convinti di esistere e che la nostra esistenza crei un problema di definizione, ma in realtà siamo personaggi sul grande teatro della vita 😛

      Piace a 1 persona

       

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