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Gli errori di Borges 3: Scaffali

30 Nov
Jorge Luis Borges nel 1969

Jorge Luis Borges nel 1969

Grazie ad un post della Fondazione Elia Spallanzani, sono venuto a conoscenza di un “errore involontario” di Borges, cioè qualcosa di cui il Maestro di Buenos Aires non è colpevole trattandosi di una strana traduzione italiana.

Nel 1934 Borges scrive un saggio breve che apparirà anni dopo (agosto 1939) sul n. 59 della rivista “Sur”, poi raccolto nell’antologia “Borges en «Sur» (1931-1980)” (Emecé 1999). In questo suo delizioso “La biblioteca total” l’argentino racconta le tappe storico-filosofiche dell’idea di creare una biblioteca che raccolga non solo tutti i libri scritti ma anche tutti i libri che si possano scrivere.
Stuzzicato da queste idee e ispirato dal suo lavoro alla Biblioteca comunale, egli stesso si lancia nella creazione di uno dei suoi racconti più famosi in assoluto: “La biblioteca di Babele“. Curiosamente è anche fra i racconti che meno piacciono al Borges maturo, che lo bollerà sempre come “racconto kafkiano” e per i quarant’anni successivi eviterà minuziosamente di spendere altre parole sul testo che in realtà l’ha reso maggiormente celebre.

La risposta più lunga mai data ad una domanda sull’argomento l’ha ricevuta il nostro Costanzo Costantini (“Jorge Luis Borges: colloqui esclusivi”, Sovera 2003) a cui nel 1977 Borges così parla del suo testo:

«Ho espresso in quel racconto l’idea che l’universo, che altri chiamano biblioteca, sia infinito, e che viviamo sperduti nell’universo. Non è illogico pensare che il mondo sia infinito. Vi ho espresso inoltre l’idea che la specie umana – l’unica – stia per estinguersi, ma che la biblioteca perdurerà. In altre parole, ho cercato di esprimervi il sentimento della solitudine, dell’angoscia, dell’inutilità che ci pervade, del mistero che circonda il mondo e noi stessi.»

jorge-luis-borges-finzioni-einaudi-1995Veniamo dunque all'”errore”. Nel primo paragrafo del celeberrimo racconto troviamo:

«La distribución de las galerías es invariable. Veinte anaqueles, a cinco largos anaqueles por lado, cubren todos los lados menos dos; su altura, que es la de los pisos, excede apenas la de un bibliotecario normal.»

Le parole che ho evidenziato in neretto sono quelle “sensibili”. Quando infatti nel 1955 per la prima volta Franco Lucentini porta in Italia l’autore argentino, traducendo Finzioni per l’Einaudi, traduce in maniera a dir poco discutibile:

«La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d’una biblioteca normale.»

Perché venti scaffali diventano venticinque, costringendo il “meno due” a diventare “meno uno”? E perché l’altezza di un bibliotecario normale, usata come termine di paragone, si trasforma nell’altezza di una biblioteca normale, che davvero non ha senso?

Tutte le edizioni Einaudi e Mondadori del testo – compresa quella dei “Meridiani” – riportano questa traduzione decisamente errata di Lucentini, che conosce una correzione solamente quando nel 2003 Antonio Melis riprende in mano il testo e lo ritraduce per Adelphi:

«La distribuzione delle gallerie è invariabile. Venti scaffali, cinque lunghi scaffali per lato, coprono tutti i lati tranne due; la loro altezza, che è quella dei piani, supera di poco quella d’un bibliotecario normale»

Purtroppo Melis è avaro di note, ma nella fascetta della trama ci informa che ha lavorato sulla seconda edizione delle Ficciones di Borges, quella cioè del 1956 che ovviamente Lucentini non ha potuto conoscere, visto che è posteriore di un anno al suo lavoro.
Dunque cosa dobbiamo dedurre? Che fino al 1956 il testo di Borges riporta Venticinque, da cui la traduzione di Lucentini, e poi riporta Venti? Possibilissimo: ricordo che il poeta bonaerense ha modificato i propri testi un gran numero di volte. Ogni ristampa va intesa sempre come una “revisione”.

Però Manuel Ferrer nel suo “Borges y la nada” (1971) specifica che

«En la versión primera de 1941, decía: “Veinticinco anaqueles, … todos los lados menos uno”. Suponemos una irónica sonrisa de Borges cuando lo rectificaba

Dunque Ferrer afferma che nella prima versione della Biblioteca di Babele risalente al 1941 il testo riporta “venticinque scaffali / meno uno”, e che quindi nel 1944 già erano diventati venti, con Borges sorridente che corregge il numero. Il nostro Lucentini ha dunque seguito la prima versione del testo e non quella contenuta in “Finzioni” del 1944 che girava per il mondo? (Tranne l’America, dove a quanto pare arriva solo nel maggio del 1962 per la cura di Anthony Kerrigan. Ovviamente con “venti scaffali”…)

Purtroppo dare una risposta precisa è molto difficile: l’edizione del 1944 è dimenticata, sostituita da quella del 1956: il primo collezionista che la trova… faccia un fischio!

Per finire, vorrei ricordare che prendere sul serio i numeri in Borges non è una buona idea, perché l’argentino badava più alla suono e al ritmo delle frasi che alla precisione matematica di ciò che scriveva. I suoi errori stanno a testimoniare che dell’affidabilità oggettiva non si interessava molto.
Quindi la risposta “definitiva” sulla questione per me rimane quella data da Borges stesso alla rivista “The New Yorker” (19 settembre 1970), in un suo pezzo autobiografico oggi contenuto ne “Elogio dell’ombra” (Einaudi):

«Quando scrissi la storia kafkiana La biblioteca di Babele mi proponevo di fare una versione da incubo di quella biblioteca comunale [dove lavoravo], e certi dettagli del testo non hanno alcun significato particolare. I numeri dei libri e degli scaffali che si trovano nel racconto erano esattamente quelli che avevo sottomano. Alcuni critici molto ingegnosi si sono preoccupati di quelle cifre e le hanno generosamente fornite di significati mistici.»

L.

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8 commenti

Pubblicato da su novembre 30, 2016 in Uncategorized

 

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8 risposte a “Gli errori di Borges 3: Scaffali

  1. Ivano Landi

    novembre 30, 2016 at 8:03 am

    Quello di bibliotecario comunale, per un anno, è stato il mio primo vero lavoro. Quindi ho un pezzetto di biografia in comune con Borges, cosa che non sapevo o non ricordavo.
    A quei tempi non esisteva neppure l’idea di un computer più piccolo di un frigorifero, ma non avevo neanche la disponibilità di una macchina per scrivere e dovevo ricopiare i dati dei libri a mano su cartaceo. Era tutto molto affascinante, ma per sei giorni su sette dovevo fare quaranta chilometri di viaggio all’andata e quaranta al ritorno, utilizzando 3+3 mezzi pubblici. In pratica lavoravo in sede sei ore impiegandone altre quattro per il viaggio.

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    • Lucius Etruscus

      novembre 30, 2016 at 8:05 am

      Aumentano le coincidenze, visto che anche Borges compiva lunghi viaggi in autobus per andare alla Biblioteca, nei quali leggeva la Divina Commedia in italiano! O almeno così affermava nelle interviste: magari invece leggeva i fumetti 🙂
      Le schede bibliografiche scritte a mano sono una delizia infinita: mi spiace per la faticaccia che comportavano ma le trovo spesso più affascinanti dei libri che indicano 😛

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      • Ivano Landi

        novembre 30, 2016 at 8:44 am

        Io sui vari autobus alternavo le letture all’ascolto di musica. Mi sparavo a ripetizione sul walkman il cofanetto con tutte e nove le sinfonie di Beethoven dirette da Karajan. Dei libri, di collegato a quei viaggi, mi è rimasto soprattutto impresso nella memoria quello di Donald Johanson sul suo ritrovamento in Africa dell’australopitecus afarensis Lucy.

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      • Lucius Etruscus

        novembre 30, 2016 at 8:47 am

        Nooo, non mi dire che era quello edito da Mondadori! Anch’io l’ho letto sui mezzi, nell’edizione del 1994. E anch’io adoro le sinfonie di Beethoven dirette da Karajan, che mia madre registrò su cassetta dalla radio: come vedi Borges sa unire i simili ^_^

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  2. Ivano Landi

    novembre 30, 2016 at 9:41 am

    Sì, mi pare fosse Mondadori. In ogni caso era la primissima edizione italiana, rilegata e con una sovracopertina, se non ricordo male, di colore marrone.

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    • Lucius Etruscus

      novembre 30, 2016 at 9:41 am

      Che invidia: io ho una ristampa da edicola, ma la conservo con amore. Sia perché ci ho legato bei ricordi, sia perché è un libro eccezionale!

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      • Ivano Landi

        novembre 30, 2016 at 11:54 am

        Io non ho idea di che fine abbia fatto la mia copia. Rimasta nella casa di qualche amico del passato, forse. Ho la casa piena di libri, ma sono senza dubbio meno della metà di quelli che ho effettivamente posseduto nel tempo.

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      • Lucius Etruscus

        novembre 30, 2016 at 11:56 am

        Amico fortunato! Speriamo abbia apprezzato il tuo “regalo” 😉

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