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Tutti informatici, noi del 1974

16 Giu

da “Star Trek: 35th Anniversary” (1991): avventura testuale tutta in inglese

«Tutti poeti, noi del ’56» cantava Miguel Bosè in Bravi ragazzi (1982): non so se sia vero, ma di certo noi degli anni Settanta eravamo tutti informatici. E masticavamo tutti l’inglese.

Qualche giorno fa il blog “Doppiaggi italioti” di Evit ha ospitato un imperdibile speciale sulla storia del doppiaggio italiano dei videogiochi il cui autore – il giornalista Damiano Gerli – appartiene a quella “fazione” che mi è capitato di trovare già altre volte in Rete: quella per cui prima dell’avvento di internet gli italiani erano tutti digiuni di lingua inglese.

«Per l’intero decennio degli anni ’80, la localizzazione del prodotto videoludico non era considerata necessaria per il mercato italiano. La notizia potrebbe sorprendere, specie a fronte di un livello medio di conoscenza dell’inglese non particolarmente elevato, […] non sarà stato difficile intuire il significato di quelle poche parole che si ripetevano sugli schermi degli arcade: ‘GAME OVER’.»

Questo estratto dal primo paragrafo dello speciale – di cui consiglio caldamente la lettura – non è un caso singolo, purtroppo in Rete mi è capitato spesso di trovare autori che partono dal presupposto per cui prima dell’avvento della “modernità” gli italiani fossero tutti ignoranti di inglese. Nei vari ambiti di cui mi è capitato di occuparmi ho sempre dimostrato, prove alla mano, che è una falsa idea, e che l’inglese in Italia si è sempre conosciuto, da parte ovviamente di chi aveva le possibilità di studiarlo, ma visto che stavolta l’articolo parla degli anni Ottanta, cioè la mia giovinezza, mi sento tirato in ballo anche a livello personale.

da “MC MicroComputer” n. 18 (1983)

Malgrado Gerli citi «poche parole che si ripetevano sugli schermi», in realtà il variopinto e vasto universo videoludico degli anni Ottanta, che ho avuto il piacere di sfruttare in lungo e in largo, era ricchissimo di parole, frasi, paragrafi e addirittura dialoghi serrati. È Gerli stesso a darci il limite temporale, visto che ci informa che Sam & Max Hit the Road del 1995 è il primo videogioco ad essere doppiato, il che significa che parliamo di più di dieci anni di vivacissima attività videoludica totalmente in lingua inglese: visto che è una lingua così poco nota a noi che siamo cresciuti in epoca pre-internet, come abbiamo potuto affrontare quella mole sterminata di giochi senza l’ausilio della lingua che solo il doppiaggio può darci?

Quella che mostro qui a sinistra è un’immagine pubblicitaria della Dysan: a prima vista non si direbbe, eppure è una pubblicità italiana apparsa su una rivista italiana, “MicroComputer”, una di quelle che all’epoca facevano furore in edicola perché tutti noi, piccoli e più grandicelli, eravamo malati di informatica e ne volevamo sapere sempre di più. E l’informatica parlava inglese.

Il Commodore64 è entrato in casa che avevo nove anni, proprio quel 1983, e grazie ad amici del palazzo, parenti e compagni di scuola si è creata subito una vasta rete di “passaggi di giochi”, e certamente i primi erano molto semplici – tipo i miei amati “Bruce Lee“, “Dungeon” e “Jumpman’s Junior” – con giusto qualche scritta. Però poi assieme ai videogiochi c’era tanto da fare con il Commodore64, per esempio far muovere gli sprite – come la mitica mongolfiera che girava per lo schermo – e questo significava usare il sistema BASIC che prevedeva parecchie parole inglesi: pokethenif, go toinputprintload, e via dicendo. Termini base che tutti conoscevamo. (Ecco una “lezione di list” da una rivista del 1983.)

Non sembra, ma questa
è una pubblicità italiana

Poi arrivavano videogiochi sempre più complessi, dove i personaggi cominciavano a “parlare” (ovviamnte tramite fumetto), e poi sono arrivate le avventure testuali, basate cioè interamente su lunghe descrizioni scritte. Nel 1991 mi feci regalare il videogioco di “Star Trek” che non aveva alcun tipo d’azione: era un’avventura testuale dove dovevi sempre scegliere cosa far dire ai personaggi, ed era tutta completamente in inglese.

Tutti i miei coetanei, o comunque la stragrande maggioranza, aveva completa padronanza dei termini inglesi base per far funzionare il proprio personal computer e nessuno ha mai rinunciato a un gioco perché c’erano scritte che non si capivano, anche perché ben prima dell’avvento di internet c’erano quelle cose strane chiamate “dizionari”.

Tra i manuali e le riviste di videogiochi in edicola nessuno di noi era lasciato indietro, non c’era bisogno di aver fatto un corso di lingue: bastava aver voglia di giocare, e per fortuna eravamo abbastanza giovani da apprendere velocemente.

Nel 1985 circa la mia maestra elementare ha voluto essere “moderna” e ha annunciato che avrebbe fatto delle lezioni di inglese, anche se non facevano parte del programma. Come prima lezione di inglese voleva insegnarci i numeri… e tutti in classe cominciammo a sghignazzare. Passavamo i pomeriggi a scrivere in inglese sui nostri computer, a leggere dialoghi in inglese, a sfogliare riviste piene di scritte inglesi e a imparare a memoria le introduzioni filmate dei videogiochi nei bar – il mio tormentone personale era Dragon’s Lair (1983) – quindi ne sapevamo molto di più della maestra. Che infatti si seccò e interruppe subito la sua iniziativa linguistica.

Classifica piena di inglesismi dalla rivista “Videogiochi” n. 7 (luglio 1983)

Il mio caso non era affatto “speciale”, tutti i ragazzini che conoscevo smanettavano con l’informatica e l’inglese, io anzi ero un utente medio che non eccelleva né coi videogiochi (mai completato uno!) né con l’informatica, visto che ne ero appassionato ma non così tanto da salire di livello nel suo studio. L’informatica era il nostro mondo e parlava inglese: a scuola si parlava italiano, ma appena finiti i compiti si passava tutti all’inglese per divertimento: «Just for fun» cantavano i Bit Bit in Run Computer Games (1984). La pronuncia sicuramente lasciava a desiderare, ma per fortuna era tutto inglese scritto.

Ci ho giocato poco, ma adoravo la grafica di Last Crusade (1989)

Avevo poco più di dieci anni quando passai un tempo enorme a far andare l’introduzione del videogioco Ghostbusters (1984) così da scrivere su carta le parole della mitica canzone («Who you gonna call?»): oggi per averle basta un secondo su Google, e questo è il simbolo dei “giovani d’oggi”: anche i più scafati videogiocatori vogliono la traduzione di ogni singola parola, quando un tempo i videogiochi dovevi sudarteli fino all’ultimo pixel.

Forse la generazione che non sa l’inglese è proprio quella nata con Internet, magari proprio quei millennial che sono abituati ad avere tutto pronto e credono di essere smart, con videogiochi doppiati e avventure testuali tradotte fino all’ultima minuscola parola. Visto che conoscono così bene l’inglese, perché esiste ancora la traduzione in italiano? Noi ragazzi del ’74 non ne avevamo minimamente bisogno.

L.

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28 commenti

Pubblicato da su giugno 16, 2021 in Linguistica

 

28 risposte a “Tutti informatici, noi del 1974

  1. Il Moro

    giugno 16, 2021 at 9:26 am

    Ricordo ancora i pomeriggi passati a copiare listati per far muovere una stramaledetta pallina sullo schermo col commodore 64… 😅

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    • Lucius Etruscus

      giugno 16, 2021 at 10:57 am

      Ci siamo passati tutti 😛
      Però almeno ci è venuta la forma mentis per capire cosa stiamo facendo, quando scriviamo qualcosa al computer: abbiamo in mente ben chiara la nostra posizione e il nostro obiettivo. Invece vedo tanti neofiti girare a vuoto chiedendosi “dove sono?” “dove vado?” 😀

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  2. Vasquez

    giugno 16, 2021 at 1:54 PM

    Chissà se posso aggiungere la mia esperienza con l’approccio all’inglese? Lo prenderò per un sì 😜

    Sono del ’73, quindi nel 1982 frequentavo la quarta elementare quando traslocammo in un comune di circa 10.000 abitanti dove era previsto il dopo-scuola due giorni a settimana. Tra le diverse attività per riempire quelle quattro ore pomeridiane (ginnastica ritmica, laboratorio di ceramica, lezioni di musica) c’era anche l’inglese, con tanto di rappresentazione teatrale finale.
    Pur non essendo io Leggenda come Lucius (“nessuno” è Leggenda come Lucius) mi sono sempre discostata dai gusti musicali delle mie coetanee, quelle poche con cui mi trattavo, a causa di continui traslochi. Le ricordo amanti di Ramazzotti, Baglioni, Vasco, Jovanotti. Per me non avevano nessun senso. La mia folgorazione arrivò con “The Final Countdown” e la successiva “Rock The Night”, dopodiché un amico appassionato di Springsteen mi fece conoscere i Bon Jovi e non ce ne fu più per nessuno (fino alla scoperta dei Guns 😛).
    Conservo i quaderni su cui trascrissi i testi delle canzoni dei loro primi 4 album (che racimolavo in giro facendomi prestare le riviste che li contenevano) con a fronte la mia traduzione.
    Ricordo che andai dal prof d’inglese di terza superiore (che in classe non voleva sentire una parola d’italiano) per sapere il significato di “ain’t” che non trovavo in nessun dizionario a mia disposizione.
    Tra l’altro in un verso di “Born To Be My Baby” viene nominato quel “TV tray” di cui ho scoperto appieno il significato solo in tempi recenti, leggendo la recensione del doppiaggio di “Trappola di cristallo” su Doppiaggi Italioti.

    Computer e videogiochi sono arrivati tardi a casa mia, tuttora i miei stentano a comprendere come e perché il computer sia diventato un elettrodomestico indispensabile quanto il frigo.
    Io stessa mi ritengo più “analogica” che digitale (più che altro detesto i continui aggiornamenti imposti pena l’impossibilità di procedere), ma se serve mi metto di buona lena per districarmi tra giga, account, password e “no cacchio no! non sono un robot per la miseria!”
    Non so se vado meglio (o peggio) in informatica o in inglese, ma considerando che la mia materia preferita era matematica, si fa quel che si può 😛

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    • Lucius Etruscus

      giugno 16, 2021 at 2:05 PM

      Quindi confermi che anche per te gli anni Ottanta sono stati particolarmente pieni d’inglese, e non di semplici parole facili tipo “Game Over” letto sugli schermi 😛

      Anch’io ho avuto il dopo scuola ma ero piccolissimo e non ricordo cosa facessi. Invece anch’io per molto tempo ho trascritto le parole delle canzoni inglesi che mi piacevano tentando di tradurle, con risultati purtroppo deludenti perché strapiene di “modi di dire” e contrazioni molto difficili per il mio livello d’inglese dell’epoca.
      Ricordo che “Sorrisi e canzoni” aveva ogni settimana il testo di una canzone di successo e quindi se mi capitava sotto mano la rivista andavo subito a vedere cosa avevano messo.
      Ricordo che intorno ai 13 anni impazzii per il musical “Jesus Christ Superstar” e in casa avevamo l’LP con tutti i testi, e per fortuna lì era un inglese semplicissimo e lineare. Così come per il “Rocky Horror” qualche anno dopo. Però per le canzoni del momento bisognava ricorrere alle riviste per avere le parole 😛

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      • Vasquez

        giugno 16, 2021 at 2:14 PM

        Confermo, confermo.
        Io ricordo invece che impazzii per Grease e per cercare di capire ogni singola parola cantata in quel film, mentre adesso lo trasmettono coi sottotitoli, maledetti! 😒

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      • Lucius Etruscus

        giugno 16, 2021 at 2:17 PM

        Idem! La pronuncia degli attori di Grease rendeva totalmente impossibile capire anche solo una parola, solo in tempi recenti sono riuscito a trovare i testi, malgrado le musiche le ho sentite a raffica per decenni 😛

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  3. Madame Verdurin

    giugno 16, 2021 at 2:39 PM

    Non posso esserti di grande aiuto perchè sono nata nell’87 quindi dell’inglese negli anni ’80 non so niente, se non che i miei genitori se la cavavano abbastanza da sopravvivere nei viaggi all’estero. Anche io ho imparato l’inglese con i musical in prima battuta: Jesus Christ Superstar, Grease, Rocky Horror Picture Show, Moulin Rouge e Cantando sotto la Pioggia. E per fortuna perchè la mia insegnante del liceo poi ne sapeva di sicuro molto meno di me 🙂

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    • Lucius Etruscus

      giugno 16, 2021 at 2:43 PM

      Ho sempre ritenuto le canzoni il modo migliore per imparare l’inglese, perché sei spinto da passione e perché è un sistema divertente. Quando mi è toccato il corso su cassetta, col mitico “the pen is on the table”, era decisamente meno divertente 😀

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      • Madame Verdurin

        giugno 16, 2021 at 2:52 PM

        Sappiamo tutti che l’unica cassetta che fuzioni veramente è quella di In&Out XD

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      • Vasquez

        giugno 16, 2021 at 3:01 PM

        “Allora: com’è andata, bambolina?” 😉

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  4. Iuri Vit

    giugno 16, 2021 at 4:22 PM

    Un po’ mi fa tenerezza la maestra che ci prova. Dopotutto la sua era un’iniziativa lodevole.

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    • Lucius Etruscus

      giugno 16, 2021 at 4:24 PM

      E’ stata un’anticipatrice, non so ora ma all’epoca solo dalle Medie si iniziava a studiare inglese, quindi il tentativo era da lodare: peccato che però eravamo tutti troppo immersi nell’informatica, e quindi nell’inglese, perché ci bastassero le sue basi rudimentali 😛

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  5. gioacchino di maio

    giugno 16, 2021 at 10:05 PM

    Era davvero un impresa tradurre qualcosa all’epoca, il livello scolastico a volte non bastava e bisognava ricorrere ai dizionari, a proposito di Grease mi scervellai parecchio nel capire cosa cantava Newton-John con Hopelessly devoted, però poi alla fine qualcosa imparavi, oggi con Traslate google è tutto più a portata di mano anche troppo forse.

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    • Lucius Etruscus

      giugno 17, 2021 at 7:05 am

      Infatti oggi il livello di “sforzo” è drasticamente vicino allo zero, quando invece l’ammazzata che ti facevi era parte integrante del processo di apprendimento, perché dovevi essere spinto da forte passione per superare i limiti linguistici. Una volta intorno al 1991 ho tradotto dal tedesco un articolo su Van Damme, senza sapere nulla della lingua ma solo con un dizionario in mano: visto che non esistevano articoli in italiano su di lui, toccava ingegnarsi 😀

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  6. Conte Gracula

    giugno 17, 2021 at 1:22 am

    Ho fatto le elementari negli anni ’80 e lì ho studiato un po’ di inglese, ma non abbastanza da farne qualsiavoglia uso, dunque il ritratto dell’italiano che non conosce l’inglese mi si adattava alla perfezione (e dato che in seguito ho studiato francese, la cosa ha continuato in quella direzione e le persone che avevo intorno erano più o meno come me).
    Il basic dell”Atari lo applicavo come formule magiche che non capivo: per me, “goto” non aveva alcuna relazione con “go to”, che non conoscevo. 😅

    Fino alla seconda metà degli anni ’90, quando ho iniziato col gioco di ruolo, l’inglese è stato per me un mondo ignoto – i pochi videogiochi che giocavo non presentavano molte scritte, ma comunque non le capivo. XD
    Poi, parallelamente ai GDR, ho iniziato a conoscere videogiochi più complessi e dotati di trama, così ho avuto uno stimolo per migliorare.

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    • Lucius Etruscus

      giugno 17, 2021 at 7:08 am

      Ricordo che avevo amici con le ore di francese a scuola, ma – se la memoria mi assiste – credo fossimo già al liceo, mentre negli Ottanta sentivo citare sempre l’inglese come seconda lingua.
      Di giochi con poche scritte ne ho fatti tantissimi anch’io, ci mancherebbe, però nella folla di titoli che riempivano le cassette e i floppy per Commodore ce n’erano diversi in cui la testualità era preponderante, tipo Cluedo (o almeno mi sembra fosse quello il titolo), avventura esclusivamente testuale e tutta in inglese, eppure nessuno si lamentava né invocava l’arrivo di traduttori, come se fossero pura fantascienza 😛

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      • Conte Gracula

        giugno 17, 2021 at 10:35 am

        Prima di studiare da autodidatta, le traduzioni per me erano vitali… Se avessi saputo che sarebbe bastato un vocabolario per un’infarinatura di inglese (ovviamente per la grammatica non sarebbe bastato) me ne sarei fatto regalare uno 😛

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  7. Kukuviza

    giugno 17, 2021 at 3:26 PM

    L’avete stroncata la maestra! 😀 invece di cogliere la palla al balzo… forse ne sapevate più di lei!
    Mi ricordo un gioco pieno di oggetti magici, tra cui la “strong sword”, a cui giocavo con la mia amica. Per pronunciare velocemente veniva fuori qualcosa di un po’ storpiato che sembrava un insulto e la sorella di lei che passava di lì: “Ma cosa state dicendo??”
    Grazie al gioco di Ghostbusters ho imparato la parola headquarters e la bait per catturare i fantasmi…

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    • Lucius Etruscus

      giugno 17, 2021 at 3:46 PM

      Quel “Ghostbusters” ricordo che aveva alcune frasi del film inserite nel gioco, anche se con qualità Commodore, per esempio «He slimed me!» quando l’ectoplasma ti beccava.
      Le storpiature delle parole era all’ordine del giorno, era tutta una lingua scritta che ognuno pronunciava a modo suo, ma in fondo i giornalisti del TG facevano lo stesso quindi nessuno può incolparci 😀
      Come questi giorni, che a volte c’è stato un sàmmit altre c’è stato un sùmmit 😛

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      • Kukuviza

        giugno 17, 2021 at 4:18 PM

        aHAH sui giornalisti dei tg quanto ci sarebbe da dire. E anche per le altre lingue Cèrnobil, Cernòbil, Cernobìl, gorbaciòf, gorbacev…

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      • Lucius Etruscus

        giugno 17, 2021 at 4:30 PM

        Loro che dovrebbero veicolare il sapere, sono i primi a massacrarlo: possibile nessuno abbia mai telefonato a Gorbacev per chiedergli “Scusa, come cacchio ti chiami?” 😀

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      • Kukuviza

        giugno 17, 2021 at 8:46 PM

        ahaah, ma infatti, mi sono sempre chiesta, sarà mai così difficile trovare una persona madrelingua e chiedere la pronuncia? avrai un corrispondente in russia o ovunque ti serva? neanche fosse il giornalino dei ragazzi. misteri veramente.

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      • Lucius Etruscus

        giugno 17, 2021 at 8:55 PM

        Ricordo la questione che infiammò l’Italia intorno al 1990: si dice Dàilan Dog o Dìlan Dog? Alla fine è intervenuto Bonelli stesso a dire “Per caso il cantante Bob Dylan lo chiamate Dàilan?” Ci rimasi malissimo, perché io ero fra quelli che lo chiamavano Dàilan 😀

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      • Kukuviza

        giugno 19, 2021 at 10:56 am

        ahahahaha nooooo…. anche se ammetto che la Y a quei tempi e forse ancora oggi poteva ingenerare quel dubbio. Io me lo ricordo per Dynasty che non si capiva come si leggesse se Dinasti o Dainasti. Tutti di solito dicevano Dainasti, ma poi una professoressa di inglese era intervenuta dicendo che si dice Dinasti. Poi in realtà aveva parzialmente torto perché in UK si dice dinasti ma in ammerega si dice dainasti e dunque siccome il prodotto è americano…
        Tra le parole pronunciate alla cazzo, oltre al sammit, mi fa venire l’orticaria anche il plas, quest’ultimo sarà anche corretto, ma non per noi, cazzo, non per noi!

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      • Lucius Etruscus

        giugno 19, 2021 at 11:19 am

        Il problema dell’inglese è che ha tante pronunce quante sono quelli che con la puzza sotto il naso si alzano ad insegnarle 😀
        Anche “privacy” se non ricordo male si legge privaci e non pràivaci come diciamo noi, ma dipende dal Paese anglofono da cui lo dici.
        La britannica Emily Watson ha sposato un americano e si lamenta che sua figlia “acqua” prima lo pronunciava in inglese di classe, uòta, ora all’ammerigana, uàdaaaa. Pure loro stanno inguaiati con le pronunce 😛

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  8. Matteo

    giugno 23, 2021 at 4:18 am

    Lucius carissimo, approfitto del tema trattato per segnalarti il film “Sotto Il Vestito Niente 2” del 1988, per i più curiosi, compare ad un certo punto un gioco del suddetto C64 vietato ai minori di 18, si fa per dire…con quelle grafiche improbabili e cubettose, comunque all’epoca ci poteva pure stare e nemmeno nella sua versione originale, ma riprocessato per la vendita in edicola.
    Due riferimenti: computer e edicola, un bel connubbio…L’edicola ci sta sempre bene 😀

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    • Lucius Etruscus

      giugno 23, 2021 at 6:56 am

      UAU grazie della dritta, vado subito a cercare 😛
      Chissà se era lo strip-poker che avevo io per C64. Però io i giochi li ricevevo da amici e compagni di scuola, niente edicola: chissà da dove arrivavano, all’inizio della catena di amicizie 😛

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      • Matteo

        giugno 23, 2021 at 3:48 PM

        Ehm…no, direi qualcosa di più audace, ma anche ridicolo, va be’, ti lascio scoprire da solo quale fosse, la mia è solo una dritta, poi la curiosità farà il resto 😃

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