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La lingua di Vivere due volte (2019)

10 Feb

Mi è capitato di vedere il film Netflix “Vivir dos veces” (2019) della spagnola Maria Ripoll, reso in italiano con “Vivere due volte” forse in onore ad uno dei rari film della regista giunti in Italia, Due volte ieri (1998).

Il film è delizioso e tratta con mano leggera e tocco delicato un tema profondamente drammatico. Infatti al protagonista Emilio (lo strepitoso bonaerense Oscar Martínez) viene diagnosticato un Alzheimer che sembra ancora lontano, visto che il professore universitario di matematica sembra nel pieno possesso di tutte le facoltà mentali che hanno forgiato la sua vita e le sue scelte, ma ben presto diventa chiaro che la malattia sta procedendo in modo inesorabile.

Per tutta la vita Emilio si è immerso nello studio con un solo obiettivo, forse inconscio o forse no: dimenticare Margarita, l’unica donna che abbia davvero amato profondamente. Una storia di gioventù, roba passata, poi si è sposato e ha avuto una figlia che ora è mamma anche lei… ma cinquant’anni non sono niente, e il ricordo è ancora lì. Ora però l’Alzheimer riuscirà dove Emilio ha fallito: dimenticare Margarita. Prima che questo succeda… l’anziano professore vuole ritrovarla, per sapere se anche lei ha pensato a lui.

Lo sgangherato road movie con figlia e nipote al seguito si separa subito dal canone americano per ritmo e trovate, tutte molto più di gusto europeo e studiate in modo da non far mai pensare allo spettatore di poter anticipare lo svolgimento della splendida sceneggiatura di María Mínguez, che giunge inesorabile ad un finale potente e delizioso, che sarà impossibile affrontare con gli occhi lucidi.

Oltre a consigliarvi il film, mi piace segnalare alcune chicche linguistiche.

Non chiamatelo sudoku, bensì “quadrato magico”

L’inizio della storia ci presenta il professore brontolone al bar, intento a fare un sudoku. «Non si chiama sudoku: si chiama quadrato magico! I giapponesi credono di averlo inventato loro, ma hanno solo messo il nome a qualcosa che già esisteva.»

L’accorato appello di Emilio ad usare un’espressione della propria lingua, cuadrado mágico, per ciò che tutti chiamano sudoku va ben oltre il riferimento storico – visto che, secondo Wikipedia, già nel 1892 “Le Siècle” pubblicò un carré magique da far risolvere ai lettori – mi piace leggerci anche un piccolo singulto di amore linguistico che è bello trovare ogni tanto in giro per l’Europa “colonizzata”.

Scusa, che lavoro hai detto che fa tuo padre?

Che sotto traccia ci sia la voglia di lanciare stoccatine lessicali la si può avvertire quando Emilio chiede alla nipotina che mestiere faccia suo padre:

Coaching.
— ¿El qué?
— Una profesión que se ha inventado él para no admitir que está en el paro.

La contrapposizione fra inglese e spagnolo del testo originale si perde nella resa italiana – curata da CD Cine Dubbing – ma rimane intatto il sarcasmo:

Formazione.
— Che cos’è?
— È una professione inventata per non ammettere che è disoccupato.

L’adattamento italiano curato da Fausta Fascetti dunque traduce coaching, lasciato invece in originale in altre lingue, il che ci fa ben sperare in rese italiane più attente, in futuro. L’espressione tornerà più avanti e dimostrerà che possiamo benissimo tradurre anche ciò che vogliono spacciarci come intraducibile: la parola  coaching lascia lo stesso grado di vaghezza di formazione, quindi il sarcasmo sul padre disoccupato è perfettamente reso nella nostra lingua.

Ridere in faccia alla Citroën

Partiti a bordo di una vecchia Citroën CX 25 RD Turbo, nonno e nipotina ne approfittano per uno scontro culturale: l’autorevole professore universitario ovviamente ha subito la peggio contro la generazione che vive con lo smartphone in mano, che chiama «móvil».

Il nonno brontolone punzecchia la ragazzina dicendole «Vedo che ti piace dedicare il tuo tempo a stupidaggini», al che lei risponde «LOL». Emilio non conosce il “linguaggio delle chat” quindi non sa che LOL è la sigla di Laughing Out Loud, (o Lots Of Laughs a seconda delle fonti), così la ragazzina glielo spiega: «È uno spasso, mi diverto». (Me parto, me troncho)
«Ah, è come “rido a crepapelle“» sghignazza Emilio, usando in originale il delizioso «¡Qué risa, tía Felisa!». La versione inglese del film, Live twice, love once, traduce con «splitting your sides», mentre quella francese, Vivre deux fois, «quelle rigolade, les amis!»: tutti modi di dire sostituiti da tre semplici lettere, LOL, nate per economizzare nella scrittura ma poi entrate nel linguaggio comune.

Applicare tag agli LP

Quando Emilio non riesce più a ricordare il contenuto degli dischi di musica che ha collezionato per una vita, la nipotina si offre di preparargli delle etichette (etiquetas), al che il nonno ha un sussulto: «Como las etiquetas de facebook».
La presa di coscienza di Emilio è tradotta fedelmente in italiano, «come le etichette di facebook», ma tutti sappiamo che non esistono “etichette” in facebook: esistono tag. Nessun italiano parla italiano, nei social.

«Like tags on facebook» rende giustamente la versione inglese, «Comme des tags sur facebook» rende il francese, dimostrando d’aver perso da tempo la sua battaglia contro gli inglesismi.
Plaudo alla scelta della nostra Fausta Fascetti di italianizzare gli inglesismi, perché altrimenti non si sarebbe capito perché la nipotina volesse mettere delle tag sui dischi del nonno: visto che “etichetta” è la perfetta traduzione italiana di tag, in qualsiasi ambito il termine venga usato, direi che è un’ottima scelta.


Il bilancio è incredibile: la versione italiana del film è più regionalizzata di quella inglese e francese, che si limitano ad usare inglesismi: vuoi vedere che il 2020 sarà l’anno dove saremo tutti più sensibili alla nostra povera lingua massacrata?

L.

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5 commenti

Pubblicato da su febbraio 10, 2020 in Linguistica

 

5 risposte a “La lingua di Vivere due volte (2019)

  1. Conte Gracula

    febbraio 10, 2020 at 10:38 am

    Ma sai, nel caso di coaching, lo avrei lasciato in inglese: non so se in Spagna e paesi simili i più giovani parlino con inserti inglesi ogni 3 x 2 come da noi, nel caso sia così, che la ragazzina usi coaching è più plausibile e inoltre può rafforzare lo spaesamento del nonno, che magari userà meno inglese.

    Riguardo al quadrato magico, ne conoscevo solo uno, prima del sudoku: quello con la scritta SATOR.

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    • Lucius Etruscus

      febbraio 10, 2020 at 11:07 am

      Infatti Wikipedia separa il “quadrato latino” da quello “magico”. Forse la precisazione del professore fa pensare che il quadrato magico in Spagna forse è più noto, ma di sicuro prima del Sudoku in Italia non mi sembra ci fossero giochi matematici quadrati famosi 😛
      La ragazzina in effetti parla “spanglese”, ma credo giusta la scelta di tradurre alcune sue parole, visto che poi spesso hanno un richiamo nella sceneggiatura più avanti: sicuri che tutti gli spettatori sappiano cosa voglia dire coaching, con il rischio poi che alcuni passaggi del film non siano chiari? Nel dubbio… meglio parlare in italiano 😛

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  2. Kuku

    febbraio 11, 2020 at 12:38 PM

    Battere il francese su una cosa del genere sarebbe pazzesco!
    Ma sai che anche io avrei lasciato il coaching in inglese? O al limite avrei messo life coach, perchè secondo me è proprio il fatto che si usi il termine in inglese a dare quella vaghezza del tutto e niente, del mestiere improvvisato e svuotato da quello che poteva esserne il senso. “Formazione” è sì vago ma sempre più preciso di “coaching” e quelli che fanno coaching non dicono mai che fanno formazione!
    In effetti quadrato magico mi ricorda qualcosa, sì forse proprio il SATOR a cui si riferisce il conte. Chissà come mai ha la fama che ha solo da quando è diventato sudoku.
    Cavolo, etichette avrebbe ancora qualche speranza di non sparire del tutto. Blogger ad esempio lo mette in italiano. Ma se continua così…

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