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Dampyr o Dampiro? Italiani coraggiosi

15 Set

Come racconto nel Zinefilo di oggi, il film BloodRayne 2 (2007) ha una particolarità rispetto al precedente BloodRayne (2005): la protagonista rimane una “mezzo-sangue”, cioè mezza umana e mezza vampira, ma nel primo film (portato in Italia da Fox Video) Rayne definisce se stessa dampyr, mentre nel secondo (curato dalla 01 Distribution) il doppiaggio opta per “dampira“.

All’inizio ho sghignazzato davanti a questa strana parola, perché vivendo nella contemporaneità non sono più abituato a parlare italiano, essendo l’italiano ormai composto in larga parte da termini inglesi, ma poi pensandoci ho lodato la scelta della direzione del doppiaggio: se vampir è diventato vampiro, perché mai dhampir non dovrebbe diventare dampiro?

Mentre nascono Frutti del Demonio come south working, cioè il telelavoro attuato nel Sud Italia (vi prego, chiamate l’Esorlinguista!), ci sono autori coraggiosi che combattono contro le bufere della moda per raggiungere la Balena Bianca dell’italiano in italiano.


Vampir = Vampiro

«Alcune volte un Vampiro mette a rumore tutto un paese, si scaglia addosso ai viventi senza farsi vedere, succhia loro il sangue, e a poco a poco li consuma.»

Questo passaggio alla data dell’ottobre 1746 delle “Memorie per la storia delle scienze“, edito da Gavelli nel 1747, dimostra che il termine “vampiro” viene usato nella lingua italiana tranquillamente già nella metà del Settecento, in attesa di conoscere futuro enorme successo, grazie ad una narrativa di genere sterminata.

Almeno dal Settecento “vampiro” è un termine entrato nell’italiano

Il brano in questione è poi il resoconto di un saggio del francese Calmet, infatti in un dizionario francese del 1749 si legge: «VAMPYR, ce mot en esclavon signifie sangsue», e mi fa piacere notare come il traduttore del citato film BloodRayne 2 all’originale blooodsucker sostituisca proprio l’italiano “sanguisuga”, sebbene in tempi recenti sembri piacere di più “succhiasangue”:

La Treccani ci dice che è proprio dal francese che ci arriva il termine, anche se altri dicono dal tedesco, comunque è sicuro che non è italiano, ma è entrato subito in pianta stabile nella nostra lingua con una semplice italianizzazione: da vampir (o vampyr, o wampyr e via dicendo) a “vampiro”. Un’operazione che l’italiano ha eseguito sempre nella sua storia, importando un numero sconfinato di parole straniere nel proprio dizionario semplicemente “italianizzandole”. Oggi purtroppo non si usa più, almeno per l’inglese.


Dhampir = Dampyr

«Secondo le antiche credenze del folklore slavo, il dampyr è il figlio nato dall’unione tra una donna e un vampiro»: con queste parole d’introduzione nell’aprile 2000 prende il via la testata a fumetti “Dampyr” (Sergio Bonelli Editore), ancora attiva dopo vent’anni quindi immagino gradita ai lettori.

da “Dampyr” n. 1 (aprile 2000), pagina 45 – Disegni di Mario Rossi (Majo)

Il fumetto in questione è “moderno”, quindi adotta una struttura tipica dell’italiano moderno: prendere un termine straniero e renderlo straniero in altro modo. Così come chiamiamo talk show quello che in realtà si chiama chat show, così è più facile trovare dampyr come “traduzione” di dhampir o dhampyr. Sarebbe così ridicolo chiamarlo “dampiro”, visto poi che assomiglierebbe giustamente a “vampiro” di cui è parente?

Qualche coraggioso c’è, ma gli italiani che hanno il coraggio di usare l’italiano sono più rari… dei dampiri!


Italiani coraggiosi

«Sono un dampiro, un sanguemisto»: così scrive l’italiana coraggiosa Raffaella Barcella nel suo romanzo “La maledizione di White Manor” (Lettere Animate, 2017). È l’unica autrice che ho trovato con abbastanza coraggio da usare il termine: chiunque sappia di altri casi mi faccia sapere.
Invece ho trovato casi di traduttori coraggiosi.

Con il primo romanzo di una lunga saga, “Black Moon. L’alba del vampiro” (Full Moon Rising, 2006; in Italia, Newton Compton 2010) dell’autrice australiana Keri Arthur, nasce un bel problema: la protagonista è una dhampire… tradurre o lasciare così? Daniela Di Falco è un’italiana coraggiosa e traduce: «Dhampiri. Discendenti di vampiri appena trasformati». È una traduzione “leggera”, con quella lettera “h” mantenuta, ma è sempre italiano quindi va lodato.

Le traduttrici dei successivi romanzi – Monica Ricci, Milvia Faccia, e Stefania Di Natale – non solo sono italiane coraggiose perché mantengono questa scelta di italianizzare il termine dhampire, ma vanno applaudite doppiamente perché fanno qualcosa che i doppiatori di solito non fanno: si uniformano ai nomi usati nei precedenti episodi di una saga. Chiedetelo ai traduttori della Fondazione di Isaac Asimov, che ad ogni romanzo cambiano alcuni nomi dei personaggi…

Arrivati al sesto romanzo della saga, qualcosa cambia. «Ero un dampiro – ero nata da un umano appena trasformato in vampiro e da un licantropo che lo aveva violentato e poi ucciso», si presenta la protagonista di “Black Moon. Un bacio prima di morire” (The Darkest Kiss, 2008; in Italia, Newton Compton 2011) di Keri Arthur: la traduttrice Daniela Di Falco torna per italianizzare ancora di più il termine!

«Io ero un dampiro, metà licantropo e metà vampiro», ribadisce l’autrice in “Black Moon. L’ombra del cuore” (Bound to Shadows, 2009; in Italia, Newton Compton 2012), con la traduzione stavolta di Rosa Prencipe che mantiene la scelta coraggiosa. Da notare come la Newton Compton, editrice della lunghissima serie di romanzi “Black Moon”, si guarda bene dall’usare il termine nel proprio catalogo, preferendo riferirsi alla protagonista con «metà vampiro e metà lupo mannaro».

«Sono un dampiro», troviamo nel romanzo “Il diario degli angeli. Creature della notte” (Strange Angels, 2009; in Italia, Newton Compton 2010) di Lili St. Crow, grazie al traduttore coraggioso Alberto Frigo, che traduce anche l’episodio successivo mentre il terzo romanzo, Gelosia, tocca ad Alessandra Spirito: «I dampiri cui era stato assegnato il compito di “sorvegliarmi”». Anche Alessandra è un’italiana coraggiosa!

Possibile si debba essere così “coraggiosi” per parlare nella propria lingua? A quanto pare sì.

L.

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16 commenti

Pubblicato da su settembre 15, 2020 in Linguistica

 

16 risposte a “Dampyr o Dampiro? Italiani coraggiosi

  1. zoppaz (antonio zoppetti)

    settembre 15, 2020 at 9:40 am

    Sull’etimo vampiresco il dizionario Battaglia ci dice che è arrivato in Italia per intermediazione del francese (la stessa via percorsa un tempo da molti anglicismi, visto che non conoscevamo l’inglese), ma i francesi lo avevano preso da tedesco che a sua volta l’aveva importato dal serbocroato “vàmpir ‘chi sorge dalla tomba* (di origine incerta)”.
    Non so se l’origine dell’inglese vampire arrivi dal francese o direttamente dal tedesco, presumo la prima. Certo è che quando una parola diventa inglese poi tendiamo a importarla da lì, compresi antichi italianismi come maneggio, disegno, schizzo… che oggi utilizziamo nell’adattamento inglese: manager, design, sketch, e quelli più moderni come graphic novel che deriva dalle novelle del Boccaccio. Dall’inglese comunque abbiamo importato anche vamp, che ne è il diminutivo. Non conoscevo il dampiro, prima che me ne parlassi, certo è che l’altra faccia del coraggio di usare l’italiano è la paura di alterare l’angloamericano, lingua sacra, inviolabile e superiore. La lingua dei padroni che bisogna far finta di padroneggiare e ostentare anche quando non la si sa. Ma proprio questa lingua, che ha accolto parole da tantissime altre lingue, ci dovrebbe insegnare che l’arricchimento passa per l’adattamento, e non per l’importazione di voci crude. Un tempo i puristi condannavano ogni forestierismo anche adattato, e rischiavano così di appiattire l’italiano alla lingua dei morti, di ridurlo al lessico di Dante, Petrarca e Boccaccio senza farlo evolvere. Hanno perso questa battaglia, per fortuna. Oggi però dilaga l’anglopurismo: consiste nell’importare voci inglesi così come sono, senza alterarle. Ma al contrario dei puristi, gli anglopuristi stanno vincendo la loro battaglia nella trasformazione, vampiresca, dell’italiano nella lingua dei morti viventi.

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    • Lucius Etruscus

      settembre 15, 2020 at 9:50 am

      Servirebbero dizionari fatti d’aglio!! 😀
      La cosa assurda è adattare un termine inglese con un altro termine inglese che gli assomigli, tipo “tradurre” dhampir con dampyr. Anche perché le grafie dell’Est Europa cambiano a seconda della fonte, ma tanto è sempre dall’inglese che si va ad attingere.
      Sono contento di aver trovato delle traduttrici coraggiose che hanno “osato” italianizzare.

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  2. Evit

    settembre 15, 2020 at 11:26 am

    Aspe’… c’è un film?

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    • Lucius Etruscus

      settembre 15, 2020 at 11:34 am

      Nella trilogia filmica di BloodRayne la protagonista è appunto una dhampir (è lei stessa che si definisce così), ma mentre nel primo titolo il doppiaggio lascia il nome originale, nel secondo esce fuori “dampira”, un atto di coraggio italiano comune solo a pochi arditi traduttori 😛

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  3. Il Moro

    settembre 15, 2020 at 12:00 PM

    Interessante indagine, sugli inglesismi creati e usati acazzodicane ci sarebbe da scrivere dei volumi… south working, mio dio, questo mi mancava…

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    • Lucius Etruscus

      settembre 15, 2020 at 12:13 PM

      Finché ci saranno traduttori coraggiosi, che osano preferire l’italiano all’inglese, un lume di speranza nella tempesta rimane ^_^

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  4. Emanuele

    settembre 15, 2020 at 12:25 PM

    Se invece è figlio di un uomo e una vampira come si chiama? Uompiro? Manpiro? 🤔
    Io voto sempre per la traduzione, anche quando fa ridere!

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    • Lucius Etruscus

      settembre 15, 2020 at 12:37 PM

      ahahah credo che per fortuna la “d” non stia per donna, altrimenti un vampiro bambino sarebbe un “bampiro” 😀

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      • Emanuele

        settembre 18, 2020 at 1:54 PM

        Errore mio, avevo dedotto che “dam” derivasse da “dame”, ovvero “dama” o “signora” 😅 Ad anglofoni e giapponesi piace tanto fare queste combo, mi ricordo ancora di un manga che parlava di “moplex”, mother-complex… ma non è migliore il nostro “complesso di Edipo”?

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      • Lucius Etruscus

        settembre 18, 2020 at 2:33 PM

        Anche l’italiano un tempo faceva giochi di parole, poi tutto è scomparso perché ci limitiamo a importare le parole modaiole dall’inglese. Se il complesso di Edipo venisse codificato oggi, sta’ sicuro che avrebbe un nome inglese. Tipo “comportamento borderline”, che tutti ripetono senza avere idea di cosa significhi 😀

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  5. pirkaf76

    settembre 15, 2020 at 4:01 PM

    Io in questo caso propendo per l’inglesismo, è almeno più elegante e meno cacofonico da leggere rispetto a Dampiro.
    Anche se, se fosse stato tradotto fin dal principio nessuno ne avrebbe fatto caso e avremmo tranquillamente accettato Dampiro.

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    • Lucius Etruscus

      settembre 15, 2020 at 4:07 PM

      La cacofonia esiste apposta, con vampir e dhampir, tranne in Italia, che abbiamo vampiro e dampyr: visto ce è voluta, perché non averla? Visto che è un effetto voluto, vampiro e dampiro è il perfetto corrispettivo di vampir e dhampir, così da ricreare l’esatto effetto.
      Tradurre “dal principio” è difficile con parole e concetti che ci arrivano a getto continuo in tempi recenti: quando comincia il “principio”? Tradurre sempre dovrebbe essere la regola, e infatti è la regola in tutto il mondo… tranne in Italia, ma si sa che noi siamo smart 😀

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  6. Kukuviza

    settembre 16, 2020 at 9:09 am

    Il south working mi ha steso, mandiamo una delegazione di dampiri a chi l’ha inventata…

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    • Lucius Etruscus

      settembre 16, 2020 at 9:16 am

      Ormai le Forze del Male hanno preso possesso degli organi di informazione, e i lettori sono tutti contenti perché ogni giorno hanno nuovi termini inglese da snocciolare, senza sapere cosa significhino ma che fanno tanto figo. Neanche nel 1945 con l’Italia piena di soldati americani si parlava così tanto inglese 😀

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