RSS

Stefano Di Marino recensisce Stephen King

21 Set

Oggi è il compleanno di Stephen King e lo festeggiamo con altri amici blogger (Cassidy, Sam Simon e Alberto) in una serie di iniziative. Sull’altro mio blog recensisco un film, The Boogeyman (1982), qui invece mi piace ricordare quando Stefano recensiva Stephen, cioè quando il compianto scrittore Stefano Di Marino non aveva ancora esordito sulla collana “Segretissimo” ma lavorava nella redazione di Mondadori, trovandosi a scrivere articoli di vario genere, fra cui anche recensioni di Stephen King.


Stephen King: il vento freddo del terrore

di Stefano Di Marino

Apparso sul n. 1128 di “Segretissimo” (23 luglio 1989)

«Cosa vi fa pensare che io scriva per scelta? Lo farei comunque. La mia fortuna è quella di avere un’ossessione commerciale». Sono parole rilasciate da Stephen King, quaranta anni e venti romanzi, l’uomo che dal suo maniero nel Maine tesse le trame dei nostri ormai irrinunciabili incubi quotidiani.

“Il re dell’orrore”, come lo hanno definito, può vantare un esercito di fan così esigenti da non accontentarsi più di leggere i suoi romanzi e di vedere i film che da essi vengono tratti, ma da esigere sempre più frequenti apparizioni del loro idolo in televisione e sulla fanzine dedicatagli con il titolo di Castle Rock, la cittadina dove sono ambientati alcuni dei suoi più riusciti intrecci (Cujo e La Zona Morta, tra gli altri). Eppure ci deve essere qualche legame demoniaco, qualche segreto inquietante tra questo personaggio, all’apparenza pacioso e bonaccione, e il computer che sforna best seller uno dopo l’altro.

Lo scrittore in crisi è un’immagine ricorrente nell’universo kinghiano, Jack Torrance di Shining e Paul Sheldon di Misery sono solo gli esempi più famosi. La paura, il terrore di rimanere a corto di idee, oppure di ridursi schiavo delle sue stesse opere deve avere, per lo scrittore del Maine, un fascino inquietante proprio perché legato al suo quotidiano. Un incubo che ha una stretta parentela con le creature mostruose che dalle cover kinghiane si affacciano all’immaginazione dei lettori, presenze malefiche, sepolte in qualche angolo recondito della mente, nascoste negli angoli dove meno ci si aspetterebbe di trovarle pronte a prender forma nella più terrificante delle visioni.

Infatti è questa la grande capacità di King, avvincere il lettore senza far ricorso a tagli di trippe e schizzi di sangue ma semplicemente evocare quelle che sono le sue paure primordiali. L’orrore di King ha sempre un lato tangente al quotidiano, i suoi protagonisti sono sempre perseguitati da un’ossessione concreta che prende via via la forma dell’orrido mediante una metamorfosi catalizzata dalla penna dell’autore. Jack Torrance deve dimenticare di aver picchiato il figlio in preda ai fumi dell’alcol (Shining), Donna (Cujo) il tradimento verso il marito e Louis Creed (Pet Sematary) deve fronteggiare la più drammatica delle realtà: la morte del proprio figlio.

Ma gli incubi, anche se ben celati dalle difese che il nostro inconscio erige per autodifendersi, riemergono sempre, questa è la legge di King cui si adegua l’ennesima pellicola che porta proprio il titolo appena citato e che si riferisce a un cimitero per animali accudito dai bambini di una cittadina del Maine (Sematary è la storpiatura di cemetery, cimitero, nel parlato dei bambini, e qui nasce l’aggancio con l’infanzia, altro archetipo ricorrente dell’universo kinghiano). Quasi in contemporanea troviamo nelle librerie anche l’ultima fatica letteraria del nostro: Le creature del buio.

In entrambi i casi sono incubi reali quelli che assumono di volta in volta le sembianze mostruose che King usa per idealizzare un male che ha la radice nel profondo di ogni uomo.

Così Roberta Anderson, guarda caso scrittrice in crisi, scopre nel proprio parco un oggetto proveniente da un altro mondo. Ne Le creature del buio (Sperling & Kupfer, lire 25.000) ci confrontiamo immediatamente con una realtà di un altro mondo, pulsante di una luce singolare, angosciosa, una forza che la protagonista non sa definire. Si tratta di un’entità che, sulle prime, ha la capacità di mutare in meglio il nostro mondo fatto di piccole nevrosi ma che, in seguito, rivelerà tutta la propria forza malefica. Roberta subisce una metamorfosi: a tempo di record sforna il suo più bel romanzo; ma a che prezzo? La risposta è nell’inquietante prosieguo de Le creature del buio, ma il lettore attento avrà già intuito che i sorprendenti mutamenti avvenuti nella protagonista non possono che essere preludio di qualcosa di terribile.

L’abilità dell’autore è proprio quella di far presagire il male sin dalla agghiacciante sequenza in cui la macchina per scrivere (la vecchia Underwood sempre presente nei migliori incubi kinghiani) comincia ad animarsi di vita propria sostituendosi in qualche modo a Roberta. Ciò che ci fa tremare non è il male in sé ma il fatto che esso si manifesti attraverso oggetti di uso quotidiano.

La metamorfosi da fallito a essere dotato di capacità superiori è un classico di King, qualcosa di intimamente legato alla sua personale condizione di autore prodigio. Tra il protagonista, un perdente per antonomasia, e gli oggetti quotidiani si crea un rapporto tale che l’uomo non riesce più a mantenere il controllo sulla materia.

È il caso del protagonista di Cristine, ragazzo timido e impacciato, che improvvisamente diventa un idolo grazie al rapporto morboso con la propria auto. Ma chi ci assicura che King stesso non sia conscio del proprio asservimento a quei mezzi meccanici che ne hanno permesso il successo? Non vi è forse qualcosa di malefico nelle immagini che lo ritraggono al computer o a cavallo della fedelissima Harley Davidson? Sembra quasi che lui si compiaccia di far intuire al lettore che l’incantesimo del successo, prima o poi, lo porterà a essere divorato da quegli stessi orrori partoriti dalla sua mente, in pratica dalla propria fortuna.

Quanto a noi non ci rimane che restare in attesa che i Tommyknockers, le creature del buio, vengano a bussare alla nostra porta. Li aspetteremo con timore ma anche con ansia perché la realtà è che ci piace avere paura.

Nel momento stesso in cui il brivido del terrore ci costringe a sfogliare la pagina successiva e poi un’altra e un’altra ancora, delle ottocento che compongono anche quest’ultima escursione nell’universo, distorto eppure reale, dipinto dal re dell’orrore, desideriamo conoscere il volto nuovo che le nostre personali angosce quotidiane hanno assunto per manifestarsi.


La metà oscura

recensione di Stefano Di Marino

Apparso sul n. 1149 di “Segretissimo” (13 maggio 1990)

La tirannia che i personaggi di successo esercitano sui propri autori è un classico della letteratura nera. Nel caso di Stephen King, il maestro indiscusso dell’horror contemporaneo, sembra che il tema abbia assunto quasi caratteristiche ossessive.

A distanza di poco più di un anno King torna infatti a riprendere il filo conduttore di uno dei suoi più inquietanti romanzi, Misery. Non si pensi tuttavia che La metà oscura sia una ripetizione del canovaccio del precedente romanzo. Piuttosto si direbbe che l’autore sia rimasto così coinvolto dalla “relazione particolare” che si crea tra lo scrittore e i suoi personaggi da affrontarlo da un’altra angolazione, ancor più inquietante. La metà oscura è quella parte di Thad Beaumont, il protagonista, che gli ha consentito di arrivare al successo con lo pseudonimo di George Stark. Con questo nome ha infatti firmato alcuni racconti densi di sangue e violenza.

Seguendo la propria inclinazione Beaumont vorrebbe abbandonare il suo filone più commerciale per dedicarsi, senza essere costretto a nascondersi dietro un appellativo di maniera, a una letteratura più in linea con le sue ambizioni artistiche. Sulle prime tutto sembra procedere per il verso giusto, Thad è un uomo di successo, con una famiglia che ama ma, come sempre accade nell’universo kinghiano, dietro la normalità si cela sempre qualcosa di indefinibile, di malvagio, pronto a uscire dall’oscurità. Il suo alter ego, George Stark, non è disposto a lasciarsi lobotomizzare. Ritorna accompagnato da una frase enigmatica: «I passeri volano di nuovo», legata al passato traumatico di Thad, per rivendicare il proprio diritto all’esistenza.

La minaccia del proprio passato si fonde con gli istinti più segreti di Thad mettendo in moto una terribile macchina della morte che minaccia non solo l’autore ma quanti gli stanno accanto in un crescendo di emozioni e situazioni thriller. Un grande tema che King affronta con la consueta facilità di scrittura incatenando alla pagina anche il più scettico dei lettori.

Come sempre i temi dell’infanzia e degli istinti sopiti ma non dimenticati dell’animo umano sono le molle che catalizzano una vicenda da incubo, incalzante sin dall’esordio. Se a volte si può rimproverare a King una certa prolissità (Le creature del buio, sua ultima opera del filone horror, ne è un esempio) non è certo il caso di La metà oscura. Il realismo con cui sono ritratte le nevrosi di Thad Beaumont la dicono lunga sulla capacità dello scrittore del Maine di autoanalizzare se stesso e di mettere a nudo le sue paure.

Come di consueto lo stile è asciutto, quasi cinematografico, anche se non mancano brani di introspezione degni di uno scrittore che ormai trascende i limiti impostigli dal genere.

LA METÀ OSCURA di Stephen King. Sperling & Kupfer. Traduzione di Tuilio Dobner. Pag. 468. Lire 26.000.


L.

– Ultimi post su Stephen King:

– Ultimi post su Stefano Di Marno:

 
7 commenti

Pubblicato da su settembre 21, 2023 in Uncategorized

 

Tag: ,

7 risposte a “Stefano Di Marino recensisce Stephen King

  1. Cassidy

    settembre 21, 2023 at 9:04 am

    Stefano recensisce Stefano, il prossimo passò sarà sapere cosa ne pensa King dei lavori di Di Marino, a giudicare da quello che sto leggendo di alcuni suoi segretissimo, non potrebbe che apprezzarlo, non per forza poco. Cheers!

    Piace a 1 persona

     
    • Lucius Etruscus

      settembre 21, 2023 at 9:06 am

      Prima o poi dovrò dedicare un ciclo al cinema di Fulci, e quindi il nome si scrive da solo: “Lucius recensisce Lucio” ^_^

      Piace a 1 persona

       
  2. Sam Simon

    settembre 21, 2023 at 9:16 PM

    Ottimo modo di festeggiare Stephen con un suo omonimo! La metà oscura lo traspose Romero negli anni Novanta, ma dire che ebbe seri problemi di produzione è minimizzare… :–/

    Piace a 1 persona

     
  3. Giuseppe

    settembre 22, 2023 at 2:37 am

    Festeggiare Stephen ricordando Stefano… ovvero, il modo migliore di rendere un più che degno servizio a entrambi in un unico post 😉

    Piace a 1 persona

     

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.