RSS

Parker: il rischio è la mia droga (1966)

24 Mag

Nuova tappa nel mio viaggio tra le avventure del ladro e assassino Parker, nato dalla penna del ruvido scrittore Richard Stark, alter ego “duro” del più mansueto e innocuo Donald E. Westlake.

Sono ormai disamorato del personaggio, o meglio ho perso lo slancio iniziale perché a parte Flashfire (2000), che rimane un’eccezione, i romanzi di Stark hanno uno stile molto meno “essenziale” di come mi aspettassi: il sospetto è che l’autoriale Westlake cercasse troppe volte di infilare un po’ di “letteratura” nelle storie dure e criminali scritte da Stark.

Per recensire il film che ne è stato tratto (domani sull’altro mio blog, “Il Zinefilo“), mi sono letto questo “Parker: il rischio è la mia droga” (The Seventh, 1966), vecchia uscita del Giallo Mondadori di quando Westlake/Stark era un autore molto apprezzato dai lettori italiani.

«Parker bussò una seconda volta.»

Già solo per questa prima riga del romanzo c’è da battere le mani, e gli assegno il Premio del Miglior Incipit Essenziale del secolo!

Il vizio dei romanzieri, quello che mi ha scatenato il “blocco del lettore”, è usare mille parole per dire un semplice concetto, a volta perché i suddetti autori hanno velleità letterarie (decisamente ingiustificate) altre perché agli editori non conviene stampare libri piccoli perciò è obbligatorio avere un numero sostanzioso di pagine, da riempire di vuote chiacchiere. Invece è esistito un tempo in cui si poteva… bussare una seconda volta.

Se questo fosse stato un romanzo puzzoso, di quelli che la prendono alla larga e hanno bisogno di 400 pagine per dire qualcosa per cui ne basterebbero meno di 40, dopo due capitoli di vuote chiacchiere l’azione sarebbe iniziata con Parker che bussa una prima volta. Ma Stark non è uno di quegli autori, va subito al sodo: visto che la prima bussata non ha funzionato, l’autore inizia a raccontarti dalla seconda, dopo di che Parker butta giù la porta a pedate. Già solo per questa deliziosa trovata letteraria il voto per il romanzo parte alto.

«Parker aveva orrore delle chiacchiere, non trovava niente da dire, né, del resto, un motivo per parlare.»

Purtroppo Stark non è dello stesso avviso e persino in romanzi così brevi riesce a inserire tanta roba inutile, cioè chiacchiere vuote.

La trama è semplicissima. Il colpo allo stadio di Monequois, durante il campionato universitario di rugby, è andato liscio come l’olio, i sette complici hanno seguito un piano perfetto e ora devono solo aspettare che si plachino le acque per spartirsi il bottino, il quale viene lasciato ad uno di loro: Parker.

Dopo tre giorni chiuso in casa con la sua bella, Parker esce un attimo a comprare birra e sigarette: al suo ritorno trova la donna morta e i soldi spariti. E due poliziotti che fanno domande. Qualcuno dei complici ha fatto il furbo, e ora Parker dovrà trovarlo e spiegargli a fondo quanto la cosa lo irriti.

Il problema è che questa trama interessa solo un terzo del romanzo: gli altri due terzi se ne vanno in descrizioni inutili. Perché dopo aver raccontato gran parte della vicenda, Stark torna indietro e racconta la stessa vicenda ma dal punto di vista di vari altri personaggi, che non conosciamo e di cui ci frega davvero poco. Non c’era alcun motivo di questo espediente letterario se non allungare il brodo, e questo affossa il giudizio finale sul romanzo.

Una lettura simpatica nella prima parte, noiosa nel resto. Ma ci regala alcuni particolari sul personaggio.

Una descrizione di Parker: «Nella luce cruda, si stagliava, alto e irsuto, con le larghe spalle e le lunghe braccia dai muscoli sporgenti come gomene. Le sue mani sembravano modellate in argilla marrone da uno scultore appassionato di vene sporgenti e che vedeva tutto grande.»

Un aneddoto dal passato di Parker: «Un tempo, nessuno telefonava mai direttamente a Parker. Coloro che volevano mettersi in contatto con lui per proporgli un lavoro, lasciavano un messaggio ad un tizio di nome Joe Sheer, assassino in pensione, il quale abitava vicino ad Omaha. Ma poi Joe era morto ed era un po’ a causa di questo che Parker aveva perso tutto, tranne la testa.»

Le armi di Parker: «Una Colt 38 Special, con canna di cinque centimetri e percussore protetto, il che impediva che s’impigliasse nelle tasche, una Smith & Wesson Terrier 32, anch’essa con canna da cinque centimetri, una Colt Super Auto 25, automatica e una Astra Firecat 25, pure automatica. La notte prima, aveva sparato con la “Terrier”. Tutte le altre erano ancora cariche. Quattro pistole erano il doppio di quanto gli occorresse. Scelse le due Colt, controllò il caricatore e andò a infilarle nelle tasche del cappotto. Le altre due le ripose nella camera.»


~ Scheda etrusca ~

Serie Parker n. 7:
Parker: il rischio è la mia droga
(The Seventh / The Split, 1966)
di Richard Stark (Donald E. Westlake)
“Il Giallo Mondadori” n. 952 (30 aprile 1967)
traduzione e cura di Bruno Just Lazzari
~
Il colpo allo stadio di Monequois, durante il campionato universitario di rugby, è andato liscio come l’olio, i sette complici hanno seguito un piano perfetto e ora devono solo aspettare che si plachino le acque per spartirsi il bottino, il quale viene lasciato ad uno di loro: Parker. Dopo tre giorni chiuso in casa con la sua bella, Parker esce un attimo a comprare birra e sigarette: al suo ritorno trova la donna morta e i soldi spariti. E due poliziotti che fanno domande. Qualcuno dei complici ha fatto il furbo, e ora Parker dovrà trovarlo e spiegargli a fondo quanto la cosa lo irriti.

L.

– Ultime recensioni:

 
5 commenti

Pubblicato da su Maggio 24, 2024 in Recensioni

 

Tag: ,

5 risposte a “Parker: il rischio è la mia droga (1966)

  1. Vasquez

    Maggio 24, 2024 at 12:19 PM

    Joe Sheer… di Omaha…
    Perché tutto ciò mi suona vagamente famigliare?
    Perché “Made in USA”, ecco perché!
    Joe Sheer è il vecchio complice di Parker che viene assassinato in “Hai perso il morto, Parker”, il romanzo (anche piuttosto agevole da leggere) da cui Godard trarrà il film per dire addio al suo amore, snaturando libro, trama, personaggi e tutto ciò che poteva essere snaturato

    Quando Parker divenne donna per Godard (1966)

    L’incipit di questo è effettivamente grandioso, quello che trovo straniante è questo andamento ondivago dello stile di Stark. Inspiegabile.

    "Mi piace"

     
    • Lucius Etruscus

      Maggio 24, 2024 at 12:35 PM

      Il bello di Stark/Westlake è che tutti i suoi romanzi sono collegati, non sono avventure a sé stanti ma ci sono sempre diversi particolari che collegano i vari romanzi: accenni a personaggi (di solito morti), colpi fatti, luoghi visitati. Non so quanto i lettori dell’epoca apprezzassero questa attenzione ma è comunque lodevole.

      L’impressione è che Westlake mettesse troppo il naso negli scritti di Stark, è come se le due “metà” non fossero troppo indipendenti, così lo stile asciutto e sintetico di Stark ogni tanto cade nella verbosità di Westlake e rovina tutto. Ed è davvero un peccato.

      Piace a 1 persona

       
      • Vasquez

        Maggio 24, 2024 at 12:50 PM

        Così mi viene quasi da pensare che al contrario di quanto scritto nel romanzo di King, “la metà oscura” sia Westlake, e non Stark che vuole arrivare velocemente a conclusione ma Westlake glielo impedisce…

        "Mi piace"

         
      • Lucius Etruscus

        Maggio 24, 2024 at 12:52 PM

        Infatti mi sa che era Westlake la “metà oscura” di Stark 😀

        Piace a 1 persona

         

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.