Vuole la leggenda che sul finire del XII secolo un certo Heraldo fuggì da Praga portando con sé il segreto della fabbricazione della carta, andando a rifugiarsi in un paesino sul fiume Reno presso Bologna dove rivelò quel segreto a un certo Polese: in quel paesino, Fabriano, nacque la prima cartiera dell’Italia cristiana.
Va specificato “cristiana” perché nell’Italia del sud, a dominazione araba, quel materiale di scrittura era già ben noto: il primo documento cartaceo a noi noto, mi insegna il sito ItaliaMedievale.org, è un mandato della contessa Adelaide di Sicilia risalente al 1109.
Pare risalga al 105 d.C. l’invenzione della carta da parte dei cinesi, creata con un sistema relativamente semplice: si prendevano diversi vegetali (paglia di tè o di riso, canna di bambù e stracci di canapa), si lasciavano marcire e poi li si batteva fino ad ottenere la pasta da cui venivano ricavati i fogli.
Questo sistema contagiò l’Asia e venne adottato dagli arabi, che però cambiarono alcuni elementi e resero molto più deteriorabile il supporto.
Che sia arrivata nel nostro Paese attraverso gli arabi da sud, o ce l’abbia portata il fantomatico Heraldo dal nord, sta di fatto che nella seconda metà del Duecento Fabriano produce la migliore carta disponibile a livello mondiale, avendone perfezionato la lavorazione: per i successivi duecento anni la carta prodotta in Italia sarà la migliore in assoluto.
L’entrata del nuovo formato nella vita quotidiana permise ai pittori di avere un supporto economico dove fare schizzi: insieme alla carta nacque dunque l’uso della matita e la tecnica del “bozzetto”.
In tutto questo la parte del “nostalgico”, anche se a ragione, tocca a Federico II di Svevia. Nel 1231 infatti il sovrano proibisce l’uso della carta (εν χαρτίοις, en khartìois) per i documenti ufficiali, che dovranno sempre essere scritti solo su pergamena (εν μεμβράναις, en mebrànais).
Non dobbiamo essere ingiusti con Federico II, la sua non era nostalgia per “l’odore della pergamena”, non era resistenza al nuovo formato: semplicemente la versione araba della carta che si usava all’epoca era drammaticamente deteriorabile e quindi ogni documento redatto con quel formato era destinato a rovinarsi in tempi strettissimi, al contrario della pergamena che invece offriva una lunghissima durata.
L.
Mattia L.
settembre 2, 2015 at 8:50 am
Ti chiedo umilmente scusa se faccio il “precisino” in questa occasione, ma Fabriano non è né nei pressi di Bologna (è invece nell’entroterra anconetano) né sul fiume Reno (il suo fiume è il Giano, un piccolo affluente dell’Esino, il fiume che forma una delle due valli principali della provincia). Lo so perché io vivo a venti chilometri da Fabriano, e tra l’altro ho visitato anche il museo della carta un mucchio di volte, è un posto in cui in ogni visita impari qualcosa di nuovo 🙂 .
A parte questo, comunque, mi piace molto questa serie sulla tecnologia libraria, anche se fin’ora non ero mai intervenuto a commentare 🙂 .
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Lucius Etruscus
settembre 2, 2015 at 8:57 am
Questo taglia la testa al toro e priva di valore la leggenda: come sanno i creatori di miti, non si forniscono mai dati precisi 😉
Era infatti più probabile che la carta fosse arrivata dalla Sicilia araba, migliorata poi a Fabriano.
Grazie dei complimenti e spero che continuerai a seguire il ciclo: dal Quattrocento aumenteranno i “nostalgici” che si opporranno alle nuove tecnologie 😉
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