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[MGE] Eric Clapton, “It’s in the Way That You Use It” (1986)

La rubrica MGE (Musica per Giovani Etruschi) racconta della mia formazione musicale giovanile mediante i mitici videoclip dell’altrettanto mitico canale noto come Videomusic. I giovani alla lettura sono avvertiti: si parla dei veri anni Ottanta, quelli cari a noi stagionati!


C’è stato un tempo in cui Tom Cruise era solo un ragazzetto ad inizio carriera che aveva la fortuna di finire in un film con Paul Newman, lui sì grande stella del firmamento. Quando uscì il film Il colore dei soldi (The Color of Money, 1986) andai giù di testa con il biliardo, ma essendo un ragazzino non frequentavo certo le bische dove ci si giocava – ne avevo una dietro casa ma bastava guardare le facce di chi vi entrava per capire che non era proprio il caso – quindi mi accontentai di un libro sul biliardo, che ho letto con grande piacere, e un mini-biliardo da tavolo, con cui mi sono divertito parecchio.
L’altra eredità del film di Martin Scorsese è la canzone di Eric Clapton il cui titolo rappresenta una celebre giustificazione dei maschietti: “It’s in the Way That You Use It“, sta tutto in come lo usi… Il biliardo, ovviamente.

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Pubblicato da su luglio 13, 2022 in Uncategorized

 

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[MGE] Kool Moe Dee, “No Respect” (1988)

La rubrica MGE (Musica per Giovani Etruschi) racconta della mia formazione musicale giovanile mediante i mitici videoclip dell’altrettanto mitico canale noto come Videomusic. I giovani alla lettura sono avvertiti: si parla dei veri anni Ottanta, quelli cari a noi stagionati!


Vi invito a tornare con la memoria al mitico videoclip di “Wild Wild West” (1999), l’unico prodotto buono che è derivato da uno dei pochi film al mondo a competere con Alien: Covenant (2017) per la palma di “Più brutto e stupido della storia del cinema”. Mentre Will Smith butta giù il suo rappettino morbidino e Sisqo si fa strada con il suo ritornello, al fianco di Smith ogni tanto vediamo un signore con gli occhiali scuri, il cui compito nel videoclip è ripetere «Uà Uà Uèst». È il modo con cui gli autori rendono omaggio all’autore della campionatura originale che poi è stata fusa con I Wish (1976) di Stevie Wonder, pure lui presente nel videoclip. Erano passati dieci anni da quando quel signore cantava Wild Wild West (1988) per paragonare la violenza nelle strade nere a quella del Far West bianco, e quel signore si chiamava (e si chiama) Kool Moe Dee.

Non so se nei negozi di musica italiani del 1988 sia arrivato l’album How Ya Like Me Now, che conteneva appunto Wild Wild West, ma so che VideoMusic era come me e mia madre: adorava il rap. E da quell’album presentava il videoclip di No Respect, di cui mi innamorai perdutamente.

Un bambino veniva contattato da un tipo losco e per una banconota si apprestava a rovinarsi la vita, consegnando della droga. Temo che questa scena fosse simbolica di intere generazioni di bambini cresciuti in un ambiente dove lo spaccio era l’unico sbocco di carriera. Molti rapper hanno usato la rabbia per descrivere questo ghetto morale («Born black… born dead!» gridava Ice-T coi suoi Body Count) altri invece hanno usato la comicità. Nei suoi spettacoli anche Dave Chapelle ha raccontato di bambini spacciatori, con la terribile leggerezza che solo un comico consumato sa comunicare – cioè ti assesta un pugno nello stomaco mentre ti fa ridere – e Kool Moe Dee è un altro che ha usato un videoclip frizzante e quasi demenziale per raccontare come nel ghetto nessuno ti possa sentire urlare.

«Quello che vuoi, non lo otterrai,
quello di cui hai bisogno, non lo ammetterai,
non importa quanto ci proverai:
coi soldi il rispetto non ci comprerai.»

Mi sono permesso questo gioco di rime per rendere i primi versi della canzone, quelli che Kool Moe Dee, mascherato da vecchio saggio, rivolge al giovane spacciatore “in erba” per metterlo in guardia dalla vita che lo aspetta, e poi inizia a fornire una panoramica semi-seria, ma tristemente vera, della vita criminale delle strade nere.

Un flashback al 1972 ci mostra il nostro eroe giovane e vestito come un pappone da barzelletta: non ho capito se gli autori si sono divertiti ad esagerare la “moda” per intenti umoristici o se davvero quello negli anni Settanta era chiamato “vestire bene”; forse una via di mezzo fra le due cose.

La morale, alla fin della tenzone, è che donne, droga e dollari mandano i neri in prigione…

… ma per fortuna il piccolo aspirante teppistello ha capito la lezione.

Con uno stile ai limiti della comicità il messaggio di denuncia sociale è piazzato, e una mia personale ipotesi è che non sia casuale l’inserimento nella campionatura di quello che noi esperti musicali chiamiamo «Ti-ri-tiiiii», cioè quello svirgolìo di chitarra che contraddistingue Respect (1965) di Aretha Franklin: visto che entrambe le canzoni parlano di rispetto, mi piace pensare che sia un omaggio.

Sono passati decenni ma questo videoclip continuo a considerarlo fra i migliori dell’epoca, pur con tutti i suoi difetti e anzi forse proprio per quello. E ricordate sempre, che non importa quanto ci proverete: coi soldi il rispetto non ci comprerete.

L.

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Pubblicato da su luglio 6, 2022 in Uncategorized

 

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[MGE] Bruce Willis, “Save the Last Dance For Me” (1989)

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La mia conoscenza di Bruce Willis la devo a mia cugina, di qualche anno più grande di me, che intorno al 1990 (o giù di lì) uscì fuori essere fan sfegatata di un attore che io conoscevo per aver visto qua e là ma che onestamente non conoscevo così bene. Di sicuro però sapevo che oltre a fare l’attore era anche un cantante, visto che da VideoMusic avevamo registrato la celebre “Save the Last Dance For Me” (1960) dei The Drifters nella versione di Bruno.

Ora che ricordo, all’epoca nel negozio di musica che frequentavo comprai a due spicci l’LP The Return of Bruno per regalarlo a mia cugina per il suo compleanno (non prima di essermelo registrato su musicassetta): chissà se ha ancora quello che oggi è un bel pezzo da collezione.

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Pubblicato da su giugno 29, 2022 in Uncategorized

 

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[MGE] Billy Joel, “Back in USSR” (1987)

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A rischio di essere accusato ingiustamente di putinismo mi piace ricordare questa canzone di un mondo lontano, così lontano che purtroppo ha fatto il giro e sta tornando.
Per i giovani all’ascolto, è esistito un tempo oscuro chiamato Guerra fredda, in cui le due grandi potenze americane e russe si odiavano, si riempivano di armi nucleari e si minacciavano distruzione a vicenda: per fortuna quei tempi sono lontani, vero?
In quel periodo oscuro, il newyorkese Billy Joel – che magari i giovani non sanno essere stato una grande popkstar del suo tempo – andò a fare un concerto a Mosca: detta così sembra una cosa ovvia, ma nel 1987 che un americano suonasse nel cuore dell’Impero del Male era una roba grossa, davvero grossa. E cosa vuoi cantare a Mosca? Quale canzone occidentale parla dei russi? Il Casatchok (1969) di Dalida? Mmm, no, meglio “Back in the U.S.S.R.” (1969) dei Beatles.
Sempre per i giovani all’ascolto, USSR era la versione americana (Union of Soviet Socialist Republics) di quella che noi chiamavamo URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) e che i sovietici chiamavano CCCP (Союз Советских Социалистических Республик).

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Pubblicato da su giugno 22, 2022 in Uncategorized

 

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[MGE] Mano Negra, “King of Bongo” (1991)

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A proposito di videoclip meno modaioli e con più impegno sociale, dopo Indochine non posso non parlare di “King of Bongo“, presentato nel 1991 da quei Mano Negra che si erano fatti conoscere con quella bomba di King Kong Five (1989): eravamo tutti rimasti a bocca aperta dall’impossibilità di catalogare la loro musica, e quel ritmo ci ronzava nelle teste come recitava l’irresistibile ritornello. (Now, listen to the beat, beat of the song, song / Go buzzing in my head, head like a bum dum)

Per capire il successo di quel gruppo di ribelli francesi che usava il nome di un’organizzazione anarchica spagnola, King Kong Five la trovai a sorpresa nella commediola romantica Tutto può accadere (Career Opportunities, 1991) con Frank Whaley e Jennifer Connelly. Per i più giovani, Whaley era un divo di belle speranze dell’epoca, anche se poco fortunato.
Se una patinatissima commediola americana usa una canzone dei Mano Negra, vuol dire che hanno sfondato di brutto.

Ci sarà tempo perché il cantante del gruppo, Manu Chao, sopravviva ai Mano Negra e si presenti poi in solitaria riadattando King of Bongo in quel mitico album Clandestino (1998); ci sarà tempo perché addirittura Robbie Williams riadatti quel brano, nel 2006: sono tutte canzoni che mi sono piaciute ma che però sono solo semplici sudditi del Re. E nella giungla c’è solo un Re del bongo.

Ogni mattina, in Africa, un Re si sveglia e sa che dovrà suonare il bongo più forte di tutti quelli che gli invidiano il posto…

Scherzi a parte, protagonista della canzone è il re del bongo, figlio del Re del Congo e della regina del Mambo, e questa sua abilità musicale è invidiata da tutte le scimmie: non è chiaro se sia una connotazione razzista o se davvero i nostri cugini primati ambiscano a suonare il bongo come il protagonista, ma era il 1991, altri tempi…

Il re del bongo sente arrivare rumori molesti dalla grande città e decide di portare anche lì la sua musica per essere adorato anche da quelle genti, scoprendo che invece lì preferiscono generi musicali insopportabili – tipo la house – e d’un tratto il nostro eroe scopre la relatività: nella giungla, fra le scimmie, era il re; nella città è solo un pagliaccio irriso da tutti. Anzi, è chiamato “scimmia” pure lui, essendo chiaro che non si dovrebbe mai dare epiteti, visto quanto fa male poi riceverne.

Umiliato, il nostro re del bongo decide di tornare nella giungla, dove tutti lo adorano e lo invidiano: per dirla con Milton, meglio regnare all’inferno che servire in Paradiso.

Questa canzone sul difficile rapporto fra società diverse e soprattutto su un “selvaggio” che si trova male con la nostra “civiltà”, esce nel 1991… e guarda caso nel 1994 Christian De Sica presenta la sua “Bongo Bongo Bongo“: di cosa parlerà mai questa canzone? Guarda a volte la coincidenza, di un “selvaggio” che alle offerte di venirsene in città risponde “Bongo Bong Bongo, stare bene solo al Congo”, con tanto di De Sica pittato di nero e con l’anello al naso: che classe!

Visto però che il brano è la reinterpretazione moderna (e, potete non crederci, “ripulita”) del brano omonimo del 1947 di Nilla Pizzi e Luciano Benevene, pieno di espressioni pittoresche oggi passibili di denuncia, c’è da chiedersi se invece non siano i Mano Negra ad essersi lasciati ispirare dalla canzone italiana politicamente scorretta, visto poi che ancora in tempi recenti l’espressione “Bingo Bongo” in italiano indica un extracomunitario “abbronzato”.

Fate “ciao” a Manu Chao

Nel 1991 ignoravo il testo della canzone, a cui mi dedicherò solo nel 1998 con il ritorno in scena di Manu Chao, ma già da ragazzo trovavo irresistibile il ritmo trascinante della canzone, con il suo videoclip scalmanato.

L.

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Pubblicato da su giugno 15, 2022 in Uncategorized

 

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[MGE] Les Tzars, “Indochine” (1987)

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Nel 1987 ero un giovane Etrusco tredicenne appassionato di animazione in stop motion, cioè quella tecnica all’epoca ancora di gran moda con cui si “muovevano” i mostroni al cinema. Mi ci ero appassionato con i film mitologici curati da Ray Harryhausen ma è una tecnica che trovate anche in Star Wars. Quando nel 1988 arrivò in casa la videocamera, fra le prime tecniche che studiai fu proprio quella di fare video animati con i miei Lego, cominciando a sfornarne a raffica. (Ma questa è un’altra storia.)
Spiego questo per dare un’idea di quanto andai fuori di testa quando VideoMusic cominciò a mandare in onda il videoclip di “Indochine” dei Les Tzars. Non ho mai saputo cosa dicesse la canzone francese, non mi sono mai informato né all’epoca né ora, perché l’unica cosa che mi interessava… era che ci fosse un lucertolone in stop motion!

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Pubblicato da su giugno 8, 2022 in Uncategorized

 

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[MGE] George Michael, “Father Figure” (1987)

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Viviamo in una cultura dell’aggiornamento che ha danneggiato profondamente il nostro “senso storico”: se oggi scopriamo qualcosa del passato, subito aggiorniamo il passato, come se ciò che abbiamo scoperto oggi fosse stato sempre noto. Il caso di George Michael è paradigmatico.

Scomparso appena cinquantenne nel 2016, il cantante aveva dichiarato pubblicamente la propria omosessualità dal 1998, quando in un locale di Beverly Hills era stato pizzicato con “le mani nella marmellata” (Premio Simbolismo Delicatissimo 2022): sicuramente molti sapevano anche prima della sua sessualità, ma non era di dominio pubblico, quindi nello scrivere la “storia” di George Michael bisognerebbe specificare che è stato un modello a cui tutti gli etero hanno guardato con ammirazione, prima del 1998.
Posso testimoniare come all’uscita del videoclip “Father FIgure” nel 1987 su VideoMusic non esistesse il minimo dubbio: per tutti noi George era il cantante maschio senza rischio!

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Pubblicato da su giugno 1, 2022 in Uncategorized

 

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[MGE] “Sign Your Name” (1987)

La rubrica MGE (Musica per Giovani Etruschi) racconta della mia formazione musicale giovanile mediante i mitici videoclip dell’altrettanto mitico canale noto come Videomusic. I giovani alla lettura sono avvertiti: si parla dei veri anni Ottanta, quelli cari a noi stagionati!


È inutile che facciate finta di niente, vi vedo che state sorridendo, pensando all’episodio “mollicone” che inevitabilmente si è legato alla canzone più mollicona degli anni Ottanta: quel 1987 non c’era cuoricino italiano che non battesse al ritmo del ritornello di “Sign Your Name” di quel cantante che oggi vive a Milano e si fa chiamare Sananda Francesco Maitreya, ma che all’epoca aveva il nome sciogli-lingua di Terence Trent D’Arby.

Torna il problema della traduzione, che pare molto facile per il titolo di questa canzone ma non lo è: «Sign your name across my heart», ah, che bella frase, facilissima da tradurre… “Firma il tuo nome per tutto il mio cuore”… no… “Scrivi il tuo nome…” no… Va be’: “Apponi la tua firma in calce al mio cuore”!!!! Ma possibile che le canzoni americane fanno schifo a tradurle in italiano?

Non ci credo che non vi state muovendo al ritmo dell’ipnotico ritornello d’ammmòre, con la storia di due amici fra cui nasce un sentimento ben più profondo. travagliato e mollicone quanto basta per conquistare le classifiche musicali.

Chi è che negli anni Ottanta non aveva la moto in camera da letto e un proiettore che sparava l’amata a tutta parete?

Questa era ovviamente la canzone che vinceva tutto, il videoclip imperversava su VideoMusic e c’era anche la versione dal vivo (che non ho ritrovato su YouTube): in pratica la stessa canzone girava in due forme distinte in contemporanea, giusto per capire quanto c’era da firmare su ’sto cuore.

Rivisti oggi i vestiti di Terence sono un po’ imbarazzanti, ma temo che all’epoca io stesso li considerassi fighi: ehi, era il 1987 e avevo 13 anni, si fanno tanti sbagli. Tipo innamorarsi della ragazza sbagliata mentre radio e TV ti straziano il cuore con questa canzone…

Terence si è fatto vedere in quel periodo con qualche altra canzone, ma andiamo: dopo che hai vinto tutto con questa canzone è difficile fare il bis.

L.

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Pubblicato da su Maggio 25, 2022 in Uncategorized

 

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[MGE] Laid Back, “Bakerman” (1989)

La rubrica MGE (Musica per Giovani Etruschi) racconta della mia formazione musicale giovanile mediante i mitici videoclip dell’altrettanto mitico canale noto come Videomusic. I giovani alla lettura sono avvertiti: si parla dei veri anni Ottanta, quelli cari a noi stagionati!


Incredibile, solamente oggi, a più di trent’anni di distanza, scopro che il videoclip di cui vado a parlare è stato diretto da Lars Von Trier: perché nessuno mi ha avvisato? Lars, perché non mi hai telefonato per dirmelo?
Se questa cosa l’avessi scoperta vent’anni fa, quando ero completamente partito di testa per il regista danese, all’epoca non ancora fuori di testa bensì un genio folle del cinema artigianale, il mio cuoricino avrebbe saltato un battito, ma soprattutto… avrei capito molto prima quello che invece comprendo oggi, con tre decenni di ritardo.

Avete presente quando disprezzate una cosa che poi, alla fine… be’, però non è tanto male?
Quando nel 1989 il canale VideoMusic cominciò a mandare in onda in maniera ossessiva e martellante il videoclip “Bakerman” di Laid Back io e mia madre prendemmo l’abitudine di disprezzare quello che ci sembrava la roba più brutta e stupida mai vista su piccolo schermo, che peraltro accompagnava una canzone ancora più stupida.

«Bakerman is baking bread.»

La lingua italiana è troppo complessa per rendere la floscia banalità di questa frase, che il cantante ripete per tutto il video: «Il fornaio sforna il pane» potrebbe rendere il gioco di allitterazione (baker-baking, fornaio-sforna) ma rimane una frase dignitosa, mentre alle mie orecchie l’originale rimaneva un’espressione sciocca se non addirittura lapalissiana: cos’altro mai dovrebbe fare un bakerman se non baking bread? Il tutto poi accompagnato da un video stupido e insulso, con dei tizi – immagino i componenti della band musicale – che si lanciano da un aereo e mimano le parole della canzone con i volti storpiati dal vento.

VideoMusic mandava questo video a manetta, era impossibile non beccarlo più volte al giorno, e ogni volta io e mia madre ci andavamo pesanti con commenti tali che oggi ci definirebbero hater. Poi però, alla millesima replica, è successo qualcosa… e a forza di muovere le spalle al ritmo dello stupido motivetto, questa stupida canzone ci è entrata in testa e il videoclip è entrato nelle nostre raccolte su videocassetta. Mi vergogno a dire che ancora oggi la trovo una canzone deliziosa, che conservo in mp3 nella mai raccolta nostalgica.

Va bene l’antico adagio “il brutto che piace”, ma qui temo si tratti di puro lavaggio del cervello: alla millesima visione del videoclip si è rotto qualcosa nella mia testa e la canzone mi ha vinto.
Quello che però scopro oggi cambia tutto, perché allora dev’essere stato il germe di Von Trier a conquistarmi, anche se solamente dieci anni dopo avrei scoperto il cineasta danese.

Nel 2005 avevo (e conservo ancora) tutti i libri disponibili in italiano su Von Trier a quella data, ero andato al cinema a vedere una riproposizione de L’elemento del crimine (1984) e sono fra i pochi italiani che hanno avuto la fortuna di vedere la seconda stagione di “The Kingdom”, quella che la RAI ha comprato solo per il gusto di buttarla nel cesso davanti ai propri spettatori. Visto tutto il tempo passato a fare le pulci a Von Trier, possibile nessuno abbia mai anche solo citato la sua attività di regista di videoclip? Solo ora scopro grazie a IMDb che era il regista dei video dei Laid Back! In realtà se nel 1989 VideoMusic avesse mandato fino in fondo il videoclip, con la firma dell’autore, sarebbe stato un nome che non mi avrebbe detto niente.

Ormai non so più giudicare questo videoclip, sapendo poi che è stato diretto dal Von Trier dei tempi d’oro: ricordo di averlo odiato e disprezzato, ma ora lo trovo invece divertente e simpatico. Ecco il potere di trasmettere mille volte lo stesso prodotto.

L.

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Pubblicato da su Maggio 19, 2022 in Uncategorized

 

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[MGE] Bee Gees, “You Win Again” (1987)

La rubrica MGE (Musica per Giovani Etruschi) racconta della mia formazione musicale giovanile mediante i mitici videoclip dell’altrettanto mitico canale noto come Videomusic. I giovani alla lettura sono avvertiti: si parla dei veri anni Ottanta, quelli cari a noi stagionati!


Non so se questo sia il primo videoclip visto sul canale VideoMusic, quando io e mia madre lo scoprimmo quel 1987, ma di sicuro è il primo videoregistrato, su quella che sarebbe stata la prima di una lunga serie di VHS antologiche piene di videoclip che poi, collegando la TV allo stereo, riversavamo su musicassetta da sentire come compilation (cioè l’inglesismo usato all’epoca per l’odierno playlist).

Nella collezione di vinili dei miei genitori c’era la colonna sonora del film La febbre del sabato sera (1977) ma non ricordo la sentissimo in casa, e di sicuro il celebre tema (ah ah ah ah stèin alàiv) è entrato fisso a casa nostra all’incirca nel 1990, quando iniziammo a comprare i CD della collana “Film Parade”. Dubito persino che quel 1987 avessi visto i due film con John Travolta… insomma, sono abbastanza sicuro che per me questo videoclip “You Win Again” sia il primo contatto con il gruppo dei Bee Gees, di cui cui poi non ho sentito altro che stèin alàiv una volta chiusa l’epoca di VideoMusic.

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Pubblicato da su Maggio 11, 2022 in Uncategorized

 

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