Concluso il ciclo sul masochismo di The Obsidian Mirror, Ivano Landi nel suo blog “Cronache del Tempo del Sogno” ha lanciato un suo seguito di segno opposto, dedicato stavolta al sadismo. Potevo mancare all’appello?
Riporto qui il mio intervento del 7 novembre 2018.
Breaking the Butterfly
L’educazione sadico-sentimentale
Butterfly Kiss
Eunice è una donna cattiva. Questo termine nella lingua italiana ha perso molto del suo smalto, è più facile sentirlo usare per rimproverare un bambino o un cane, ma “cattivo” è l’unico aggettivo che si possa utilizzare per Eunice, a meno di non andare su una descrizione più minuziosa come “assassina seriale psicopatica”. No, non è la stessa cosa, non rende affatto, perché se The Addiction di Abel Ferrara ci ha insegnato qualcosa è che non siamo cattivi perché compiamo il male, ma compiamo il male perché siamo cattivi.
Eunice è cattiva e compie il male. Ma non è sadica, non prova alcun piacere nell’uccidere e anzi lo fa nel più rapido modo possibile: non cerca il dolore all’esterno, perché le basta quello al suo interno. Le basta quello del suo corpo martoriato da catene e piercing, che le torturano le carni. Questo però non fa di Eunice una masochista: lei cerca la punizione, e quando non può punire gli altri punisce se stessa.
Nella sua attività di frequentazione dei benzinai in cerca di vittime, un giorno incontra Miriam, che è buona. Una parola che ha subìto lo stesso trattamento della sua controparte e nell’italiano colloquiale raramente la si sente non riferita ad una bambina che si è comportata bene o, nella sua storpiatura, riferita ad una donna attraente. Miriam non è nulla di tutto questo, è una donna buona. È un angelo, ma non nel senso cattolico del termine.
Miriam afferma di non sapere nulla, non ha vita sociale e vive con la nonna paralizzata che chiama mamma; non ha amiche, non ha amanti, ha solo una parente dimentica di sé con cui non ha alcun rapporto. Miriam è acqua limpida, che basta una goccia di male per intorbidire completamente.
L’incontro di Eunice e Miriam è fatale per entrambi, perché è il male che incontra il bene ed entrambi rimangono affascinanti l’uno dell’altro, ed entrambi si sgretolano. Entrambi di trasformano avvicinandosi.
Miriam si innamora di una donna folle che gira la città cercando una fantomatica Judith, sua precedente amante a cui scrive lettere e che probabilmente è solo il frutto della sua mente deviata. Non così deviata, però, da non avere ben chiaro il proprio comportamento:
Eunice: «Lo so che sono una persona cattiva.»
Miriam: «Che stupidaggine, non esistono le persone cattive.»
Dopo questo scambio di parole, Eunice dovrà dimostrare a Miriam che invece esistono, le persone cattive, e non parla solo di lei stessa: esistono persone cattive anche fra le sue vittime. E per spiegarglielo, la cattiva dovrà far diventare cattiva anche la buona:
«Credi di farmi diventare buona? Ti farò diventare cattiva prima che mi fai diventare buona.»
Inizia il gioco sadico, in cui Eunice comincia a dare ordini sempre più crudeli e psicologicamente provanti alla donna buona, che esegue tutto alla lettera per il più folle dei motivi: l’amore. C’è da seppellire un corpo? C’è da giocare al gatto e al topo con una vittima? C’è da soddisfare le voglie di un camionista? La risposta è sempre la stessa: la cattiva ordina alla buona di eseguire quei compiti, perché capisca che esiste il male nel mondo e la smetta di essere buona. Per farle capire che non esistono gli angeli ma solo i demoni.

Miriam (Saskia Reeves) ed Eunica (Amanda Plummer)
Miriam esegue tutto, scende all’inferno con Eunice ma lo fa da angelo: ad un certo punto le dà un piccolo bacio, e lo chiama “il bacio dell’angelo”, anche se viene subito corretta: si chiama “il bacio della farfalla”. È il segno che l’amore della buona per la cattiva, dell’angelo per il demone non si è trasformato. Miriam non può più definirsi buona, dopo il male che ha compiuto, ma ha fatto tutto per amore… e questo non la rende cattiva. Anzi, questo ha spezzato il piacere sadico con cui Eunice ha cercato in ogni modo di corromperla.
Come ha sempre fatto, la cattiva non potendo punire l’altra – il cui amore rende inutile ogni punizione – punisce se stessa, e dà l’ultimo ordine a Miriam, il gesto cattivo per eccellenza, il sadismo più sopraffino ma allo stesso tempo il gesto d’amore massimo che si possa chiedere ad un amante: uccidere ciò che si ama.
Destinato a diventare famoso con il successivo Go Now, e a non veder quasi mai questo titolo citato negli articoli che lo riguardano, Michael Winterbottom è ancora un regista ignoto quando presenta un film tanto volutamente ruvido e rozzo quanto di una potenza bruciante. Avendo esordito con un documentario su Ingmar Bergman tradisce una passione forse latente: quella per avere in video delle protagoniste femminili che si distruggono senza pietà. Una mia personale fantasia è che Buttefly Kiss sia una versione “riveduta ed aggiornata” di Persona (1966) di Bergman: il “vampirismo” per cui due donne profondamente diverse finisco per contagiarsi fino ad una fusione aberrante e fino a cambiare radicalmente la propria vita è tutta lì. Però, ripeto, è solo una mia personale fantasia.
La newyorkese Amanda Plummer (figlia del celebre Christopher) e la londinese Saskia Reeves danno il massimo che si possa chiedere ad un’attrice: tutta se stessa e un po’ di più. Niente trucco, niente vestiti “cinematografici”, niente abbellimenti: due donne “nude” davanti all’obiettivo che soffrono e sanguinano per lo spettatore. Amanda mostra senza veli il suo fisico “incatenato” e Saskia è una perfetta donna normalissima, della porta accanto, che si ritrova a seguire un’assassina psicopatica mostrandosi sinceramente innamorata. La sceneggiatura di Frank Cottrell Boyce (fedele collaboratore del regista) sembra scritta addosso ai loro corpi e ai loro volti, sposandosi alla perfezione, così tanto che non potrete più vedere Amanda Plummer in un qualsiasi altro ruolo. (E in effetti non è che la sua produzione filmica sia così prolifica.)
Avevo 21 anni quando vidi questo film al cinema, innamorandomene perdutamente. Aspettai i titoli di coda per memorizzare il nome di quella cantante dalla voce d’angelo che aveva accompagnato tutta la storia, perché dovevo assolutamente ritrovare quelle canzoni che mi avevano dilaniato il cuore, soprattutto nel finale. Segnai i nomi ricorrenti e il giorno dopo volai al negozio di musica del mio quartiere e chiesi al gestore se per caso avesse mai sentito quei nomi. Lui mi guardò come se io fossi appena sceso da un’astronave, e solo per educazione non mi ha risposto in faccia qualcosa come «Ma dove hai vissuto finora?». Allungò una mano sullo scaffale delle novità e mi passò il CD dove ritrovai le canzoni del film. Il titolo era No Need to Argue, il gruppo era The Cranberries e la cantante era una certa Dolores O’Riordan, la voce di un angelo per accompagnare l’ultimo viaggio di un diavolo.
Le onde del destino
Passa un anno e la stessa Lucky Red si occupa di distribuire una storia diversa ma identica, ambientata anche stavolta in Gran Bretagna ma in una zona ancora più rude e ruvida: quel Mare del Nord dove il gelo si annida nell’anima molto più che nell’acqua.
Stavolta la coppia è “tradizionale”, e assistiamo al matrimonio di Bess con Jan, uomo e donna: non basta però, per il rigido culto locale. Jan è uno straniero, non fa parte della comunità chiusa e intransigente del posto e già questo fa partire male la famiglia appena nata.
Bess deve sopportare ciò che tutte le donne del luogo sopportano: i lunghi mesi di solitudine mentre i mariti sono sulle piattaforme di trivellazione, ma Bess in realtà non è mai sola, sebbene soffra moltissimo: lei parla con Dio… facendo anche la Sua voce. Ed è Lui che interroga sul da farsi quando Jan torna gravemente ferito da un incidente di lavoro: sopravvive… ma rimane paralizzato. Il danno fisico non è il vero problema, perché come Jan stesso scrive su un foglio di carta:
«La mia mente è cattiva» (I’m evil in head)
Quello che è tornato non è più lo stesso uomo che Bess ha sposato, perché quella trivella sembra aver forato qualcosa che era dentro di lui: ce l’ha insegnato Eunice nel precedente film, il male è sempre dentro di noi. Ora dunque Jan è cattivo, perché si sente vicino alla morte e in quel momento – ci viene detto – si diventa cattivi. Bess però parla con Dio e sa che se eseguirà gli ordini del marito lui si salverà e guarirà: inizia un perverso gioco al massacro mosso dal più sadico dei sentimenti, l’amore.
Jan ormai è impotente e vuole che Bess faccia sesso con altri uomini, assegnandole compiti sempre più difficili e scabrosi, trasformandola in pratica in una prostituta, lei che è nata e cresciuta in una comunità di bacchettoni integralisti. La donna soffre sempre di più ma non mette in discussione questo suo ingrato compito, perché i fatti le danno ragione: più lei sottostà al gioco sadico, più si perde, più è dannata… più Jan guarisce. Il patto con Dio funziona, e come nel precedente film c’è solo un atto definitivo di fusione che si possa compiere, fra il bene e il male: quando uno si annulla per l’altro.

Bess (Emily Watson) e Jan (Stellan Skarsgård)
Quando il dottore che ha seguito il caso, che è stato testimone muto ed immobile degli eventi – proprio come Dio, ci insegna Bergman – deve redigere il suo rapporto e gli viene chiesto espressamente di descrivere Bess, la scelta di parole è essenziale:
«Se lei volesse chiedermi di riscrivere la conclusione, allora invece di “nevrotica” o “psicotica”, be’… mi limiterei ad usare una parola come “buona”.»
Miriam e Bess sono donne buone, ma nel senso che Lars Von Trier ha dato alla parola: sono donne troppo angeliche per un mondo così lordo, sono delle idiote dostoevskijane, sono cioè pure che agli occhi dei corrotti sembrano stupide. Non sono fatte per questa terra, quindi sono angeli caduti: così per un certo periodo Lars Von Trier ha voluto intendere alcuni suoi personaggi.
Miriam e Bess credono nell’amore e sono disposte a tutto pur di assecondarlo, ed essendosi innamorate di persone cattive non possono fare altro che perseguire il male, assecondare il sadismo che il loro amore genera perché sanno bene che il dolore che provano contribuirà a sgretolare la cattiveria dei loro rispettivi amanti crudeli.
Può esistere una donna buona che sia amata da un uomo buono? È quello che si augurano tutti, perché l’impressione è che invece abbia ragione Von Trier e le donne buone siano angeli con una missione: essere sacrificati ad amanti sadici per annullarne la cattiveria.
Filmografia
Butterfly Kiss (id.): a parte un paio di apparizioni sui quotidiani dell’epoca, il sottotitolo italiano “Il bacio della farfalla” non viene mai usato. Presentato in anteprima al Festival di Berlino il 15 febbraio 1995 e poi al nostrano Taormina Film Festival nel luglio successivo, esce in patria il 18 agosto 1995 e arriva subito nelle sale italiane dal 25 agosto successivo per Lucky Red: la stessa casa lo porta in VHS. In data ignota la Koch Media lo presenta in un’edizione DVD apparsa e scomparsa in un lampo, ed oggi materiale per collezionisti.
Regia di Michael Winterbottom. Sceneggiatura di Frank Cottrell Boyce. Con Amanda Plummer e Saskia Reeves.
Le onde del destino (Breaking the Waves). Presentato in anteprima il 13 maggio 1996 al Festival del Cinema di Cannes, gira per i festival di tutto il mondo prima di arrivare nelle sale italiane l’11 ottobre 1996 per Lucky Red: la stessa casa lo porta in VHS nel 1997. La DNC ristampa il film in VHS dal 15 dicembre 1999 e la Medusa Video lo ristampa in VHS e DVD dall’8 ottobre 2003, e poi ancora nel 2008. La Cecchi Gori lo ripresenta in DVD dal 23 luglio 2013.
Regia di Lars Von Trier. Sceneggiatura di Lars Von Trier e Peter Asmussen. Con Emily Watson e Stellan Skarsgård.
L.
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