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La lingua di Zagor (1972)

12 Apr

Nel 2021 si festeggiano sia i 90 anni del film Dracula (1931) con Bela Lugosi, sia i 35 anni della sua prima apparizione in lingua italiana (il 20 aprile sul mio blog Il Zinefilo), e per l’occasione ho iniziato un viaggio tra i fumetti di “Zagor“, storico eroe della Bonelli che fra i suoi nemici ricorrenti può annoverare Bela Rakosi, un chiaro omaggio tanto al citato film quanto all’attore.

Oggi sul mio blog di fumetti racconto il mio primo positivo incontro con il vampiro zagoriano, ma qui voglio approfittarne per raccontare un curioso fenomeno: quello delle didascalie bonelliane.

La storia “Zagor contro il vampiro” è uscita nelle edicole italiane nell’agosto 1972 e dalle note esplicative dello sceneggiatore, Sergio Bonelli che si nasconde dietro il suo consueto pseudonimo Guido Nolitta, possiamo avere un’idea della cultura popolare linguistica dell’epoca.

Ospiti a cena del barone Bela Rakosi, il paffutello Cico di mostra di avere una solida conoscenza della cultura ungherese.

Un messicano estimatore della cultura ungherese

Bonelli, come ogni bravo scrittore, non può dare per scontato che tutti i lettori abbiano un’infarinatura di nomi tipici ungheresi quindi per sicurezza riporta in nota la spiegazione dei termini citati dal personaggio. Se gli amanti della musica classica già all’epoca sicuramente potevano avere confidenza con il termine “Csárdás“, grazie al celeberrimo brano del 1904 di Vittorio Monti – italiano, quindi, ma ispirato alla tradizione ungherese – non è detto che il lettore comune avesse conoscenze culinarie tali da sapere cosa fosse il “Gulasch” (gulyás), termine ampiamente citato in ambito alimentare, anche nelle varianti goulasch, gulash e via dicendo.

«Un decennio dopo Kruscev, il gulash socialism, il socialismo del burro coi cannoni, è diventato il punto fermo della loro strategia»
da “La Stampa”, 26 febbraio 1974

Quindi c’è anche un’accezione politica! Tra parentesi, assolutamente imperdibile il racconto di Mel Gibson sull’impossibilità dello scozzese Sean Connery di pronunciare la parola gulasch.

C’era proprio bisogno di una nota per la paprica?

Se i due casi precedenti li ho trovati giustificati, mi sono stupito di trovare in nota la spiegazione per la “paprica“, scritta con la “k”: nella mia ignoranza culinaria ero convinto fosse una spezia presente nella cucina italiana da sempre, ma a quanto pare è una “scoperta recente”.

Sfogliando archivi di riviste italiane, a parte uno spettacolo comico chiamato “Paprika” che pare abbia avuto molto successo negli anni Trenta, in realtà della paprica usata in cucina ho trovato rarissime menzioni prima del 1970, in cui letteralmente esplode e la si trova citata ovunque, a volte scritta con la “c” a volte con la “k”. Addirittura “la Stampa” del 24 ottobre 1970 la preleva dall’ambito culinario per usarla in quello cromatico:

«colori più attuali: ruggine, paprika, terra di Siena»

Visto dunque che la storia di Zagor esce proprio nel momento in cui il termine stava entrando in pianta stabile nella nostra cultura, probabilmente Bonelli non se l’è sentita di darlo per scontato e ha voluto assicurarsi che anche i lettori digiuni di cucina capissero il riferimento.

«Spolverare di paprica e mettere in forno con calore piuttosto forte sopra, finché il formaggio fonda.»
dal “Radiocorriere TV” del maggio 1970

«Marchini ha parlato di indecenza […], le partite non si perdono così e quelli della Roma sono stati presi per i fondelli. Finale alla paprica di Marchini: “Se il calcio è ridotto così, è meglio farla finita”.»
da “l’Unità”, 30 novembre 1970

Da quest’ultima citazione possiamo notare come il termine fosse già uscito dalla cucina per diventare simbolo di “pepato”.

E per “sandwiches”? Niente nota?

Niente nota esplicativa per “sandwiches“, sillabato in maniera sospetta: quindi, secondo l’autore, i lettori italiani del 1972 non avevano familiarità con il gulasch e con la paprica invece sapevano perfettamente cosa fossero i sandwiches, a dimostrazione che la lingua inglese è sempre stata più che nota nel nostro Paese. Va comunque lodato Bonelli per aver spiegato nella vignetta successiva che si tratta di “panino imbottito”.

da “La Stampa” del 7 dicembre 1970

Il termine era in effetti così usato da essere ormai da tempo uscito dall’ambito alimentare per diventare simbolo di “multi-strato”, e si sa che gli italiani adorano usare termini inglesi al posto di pre-esistenti parole italiane.

«La rigidità dei diaframmi degli altoparlanti, vantaggi della costruzione a sandwich»
articolo da “Alta fedeltà”, luglio 1959

«Si formano così, ad esempio, tre strati a sandwich P-N-P allo scopo di “formare” un transistore.»
da “Sistema pratico”, febbraio 1968

«Sulla Quinta ho visto prima di partire due gruppi di ragazzi-sandwich. I loro cartelli dicevano: “Basta con l’omicidio ordinato per posta”.»
da “l’Unità”, 9 giugno 1968

Questi tre ambiti non-alimentari indicano che il termine in quel 1972 era così sdoganato da non aver bisogno di nota.

Chiudo con una domanda: perché, come si vede nell’esempio del 1959, l’inglese transistor è diventato l’italiano “transistore” e sandwich invece non è stato inglobato nella nostra lingua? Se beefsteak è diventato bistecca, se stockfish è diventato stoccafisso… perché sandwich non è diventato senduìccio? Si accettano altre varianti…

L.

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12 commenti

Pubblicato da su aprile 12, 2021 in Linguistica

 

12 risposte a “La lingua di Zagor (1972)

  1. Madame Verdurin

    aprile 12, 2021 at 7:45 am

    Scherzi, il sandwich non si può toccare, è l’invenzione di un Conte! I titoli nobiliari hanno sempre avuto un certo peso nel nostro paese… Almeno in cucina!

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  2. Cassidy

    aprile 12, 2021 at 8:48 am

    Vorrei che riaprissero i bar, solo per poter mandare in crisi qualche barista ordinando un senduìccio 😉 Cheers

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    • Lucius Etruscus

      aprile 12, 2021 at 8:54 am

      ahhah dovremmo metterci d’accordo, andare in tre o quattro a distanza di tempo, così che alla fine il barista si convinca che sia una parola vera e cominci ad usarla: tempo un mese e tutti direbbero senduiccio! 😀

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  3. Il Moro

    aprile 12, 2021 at 9:33 am

    il Sandwich durante il ventennio fascista era stato trasformato in “tramezzino”, il transistor credo che sia arrivato dopo. Che ci sia stata una volontà di ripristinare tutte le parole inglesi tradotte dal fascismo, volontà che non ha riguardato le parole che il fascismo non ha toccato? La butto lì eh, perché sulla questione non sono assolutamente informato!

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    • Lucius Etruscus

      aprile 12, 2021 at 9:42 am

      Purtroppo l’entità dell’intervento fascista sulla lingua italiana è enormemente sovrastimata, così come il grande mito della censura cinematografica per i prodotti americani: sono tutte idee che si tramandano e crescono senza che nessuno tiri fuori una prova sulla loro veridicità.
      L’unica palese azione totalitaria sulla lingua italiana è visibile dal 1945 in poi, quindi è quella anglofila la vera dittatura, anche perché poi il fascismo ce l’aveva principalmente con il francese, la lingua internazionale dell’epoca. Mentre il ventennio cercava di arginare l’invasione francofona, ne sarebbe succeduta una anglofona: una italofona però non c’è mai stata 😀

      Non so altrove, ma a Roma per “tramezzino” si intende esclusivamente quello a forma triangolare, qualsiasi altra forma è chiamata semplicemente “panino”, mentre se non sbaglio in inglese sandwich indica generalmente due fette di pane con qualcosa dentro, ecco perché poteva essere usato anche come similitudine in altri ambienti. Sicuramente in ogni epoca ci sarà stata una parola italiana per dirlo, ma mi sono divertito ad immaginare un percorso di “italianizzazione” simile a quello subìto dalla bistecca o dallo stoccafisso.

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      • zoppaz (antonio zoppetti)

        aprile 20, 2021 at 11:44 am

        Sandwich in effetti è stato importato nella seconda metà dell’800, quando gli anglicismi erano nell’ordine di un centinaio, molti li leggevamo e li leggiamo ancora come si scrivono, perché sono arrivati per via scritta es. tunnel dal linguaggio ferroviario o water (closet). Durante la guerra ai barbarismi di epoca fascista ci furono anche proposte come “tra i due” che non presero piede (come molti sostitutivi di epoca fascista), e fu D’Annnuzio a coniare come alternativa tramezzino (parola d’autore che ha avuto fortuna), ma con il tempo ha cambiato sinificato e oggi indica un preciso panno imbottito fatto con il pane a cassetta e di solito a triangolo.
        Quanto alla tua domanda finale non ci sono ragioni razionali che regolano la lingua, le strategie davanti al forestierismo, oltre ad accoglierlo in modo crudo, sono diverse: nel caso di sandwich si è percorsa la via della traduzione con elementi in italiani, nel caso di transistor era più semplice adattarlo con la e finale. Spesso le italianizzazioni hanno origini popolari, un tempo erano istintive e venivano naturali, i calchi e le traduzioni di solito hanno origini più colte e libresche.

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      • Lucius Etruscus

        aprile 20, 2021 at 12:56 PM

        Grazie per la panoramica, ed è davvero strano pensare agli italiani del 1972, che avevano bisogno di una nota che spiegasse la paprica ma non di una che spiegasse il sandwich 😛

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  4. zoppaz (antonio zoppetti)

    aprile 20, 2021 at 1:05 PM

    In effetti sulla popolarità delle parole è utile Ngram che registra le frequenze, ti lascio un collegamento che mostra, accanto all’esistenza delle due parole, anche l’aumento del loro uso nei libri, e in effetti paprica sale dopo gli anni ’90 (forse grazie anche al film di Tinto Brass?)
    https://books.google.com/ngrams/graph?content=paprica%2Bpaprika%2Csandwich&year_start=1900&year_end=2019&corpus=33&smoothing=3&direct_url=t1%3B%2C%28paprica%20%2B%20paprika%29%3B%2Cc0%3B.t1%3B%2Csandwich%3B%2Cc0

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    • Lucius Etruscus

      aprile 20, 2021 at 1:20 PM

      Nelle riviste di cucina degli anni Settanta l’ho trovato citato senza problemi, paprica, senza cioè stare a spiegare cosa fosse, ma appunto erano riviste specialistiche di cucina: giustamente Bonelli non poteva sapere quanto i propri lettori ne “masticassero” dell’argomento.
      Invece per non spiegare “sandwich” vuol dire che Bonelli era più che sicuro che ogni suo lettore conoscesse alla perfezione il termine. E sì che i quotidiani dell’epoca pubblicizzavano il goulasch, che quindi un minimo di conoscenza fra il pubblico l’aveva, ma sandwich era evidentemente un termine talmente noto nel 1972 da non aver bisogno d’alcuna nota.

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  5. comelapensioio

    aprile 20, 2021 at 2:38 PM

    Bellissima spiegazione dettagliata

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    • Lucius Etruscus

      aprile 20, 2021 at 2:44 PM

      Ti ringrazio, è divertente vedere come parole che oggi diamo per scontate abbiano invece avuto vite diverse e diverse velocità di inserimento 😉

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