Sin da quando ero ragazzo e mio padre portò a casa dalla libreria Effetto Entropia (1981) mi chiedo come sarebbe leggere un romanzo di Star Trek, malgrado nel corso del tempo ne abbia letti un paio: gli unici due usciti, quasi di nascosto, in “Urania”. Non ho alcuna memoria di quelle letture, sebbene mi sia rimasta una sensazione divertente.
Visto che in questi giorni ho presentato diversi post su Star Trek, in diversi miei blog, ho voluto cedere alla curiosità e leggere il primo romanzo originale mai apparso in quell’universo: Spock Must Die! (febbraio 1970), scritto ad un anno dalla chiusura della fortunata serie TV e proprio per mano di quel James T. Blish che aveva novellizzato quasi tutti gli episodi. (Ricordo la mia traduzione esclusiva dell’intervista multipla compiuta nel 1992 a vari romanzieri del mondo di Star Trek.)
La grintosa Annarita Guarnieri – che ho intervistato nel 2016 – ha tradotto questo romanzo per il quinto numero della collana che la mitica Garden Editoriale ha dedicato a questo universo, del cui fan club italiano la Guarnieri è stata co-fondatrice: il libro è uscito in italiano nel gennaio 1988 con il titolo Spock deve morire! e l’illustrazione di copertina di Bob Larkin, presa dall’edizione Bantam Books 1978.
Data Astrale 4011.9 [5 gennaio 2327, stando ad Andreas Schmidt]. Durante una missione di mappatura stellare, Kirk e i suoi a bordo dell’Enterprise scoprono che i Klingon hanno dichiarato guerra alla Federazione e devono decidere il da farsi. Scott scopre un modo per rendere spaventosamente ampio lo spettro d’azione del teletrasporto (che fino a quel momento era di venticinquemila chilometri), così da mandare Spock fino al lontano Organia – pianeta centrale nel conflitto – e tornare indietro. L’unica differenza del super-teletrasporto è che ad arrivare non è la persona… bensì un suo duplicato!
«All’altra estremità, viene riassemblato un corpo apparentemente identico all’originale, vivo e dotato della consapevolezza e delle memorie dell’originale. Ma NON è l’originale. Quello è stato distrutto.»
Tutto bello, sulla carta, ma il problema… è che Spock torna sdoppiato a bordo dell’Enterprise. Chi è l’originale? Un essere votato alla totale e ferrea logicità, privo di qualsiasi emozione, come potrà avere un “gemello cattivo”? Sarà infatti anch’egli logico e non emotivo. Sarà dura per Kirk risolvere il problema e intanto fermare i venti di guerra klingoniani.
Il romanzo è come sembra, un modo veloce e divertente di ritrovare i protagonisti della serie TV che ha accompagnato la mia infanzia e vederli impegnati in una nuova missione. Kirk, Spock, McCoy, Scott, Uhura e Sulu (Chekov fa giusto una comparsata) sono ritratti così come appaiono in TV e nei racconti che Blish ne ha tratto, quindi leggere questo agile romanzo è come vedere un episodio un po’ più lungo.
Blish non sembra essere un romanziere dalla narrazione ricercata, o semplicemente sapeva che non era richiesto per il tipo di libro: è quasi asettico ma preciso e con la giusta dose di descrittività, senza alcun tipo di fronzolo o abbellimento. Sembra quasi che ti stia raccontando un episodio TV, ma va benissimo: è esattamente quello che mi aspettavo (e volevo) da questo tipo di romanzo.
Non mancano certo delle “finezze”. Per esempio nel tentativo di criptare un messaggio diretto alla Federazione, in modo che non sia capito dai Klingon, Uhura ha una bella pensata: codificare il testo in eurish.
«Si tratta di un linguaggio sintetico che James Joyce ha inventato per il suo ultimo romanzo, più di duecento anni fa. Contiene quaranta o cinquanta altri linguaggi, comprese le loro forme dialettali. Solo un terrestre potrebbe capirci qualcosa, e ci saranno al massimo duecento persone capaci di parlarlo correntemente.»
Non vi basta la citazione “alta” di Joyce?
«Se i Klingon dovessero portare a termine un’azione del genere, potrebbero vincere la guerra… e, molto probabilmente, ridurre la razza umana e/o quella vulcaniana, a uno scarso gruppo di esemplari che vivano in esilio e nella sofferenza… “oppure che vivano in schiavitù”.»
Kirk è perplesso: «L’improvvisa piega miltoniana presa dalla fraseologia di Spock Due creò una visione terribile e fin troppo vivida». Ecco citato l’onnipresente e insopportabile Milton, l’unico altro autore noto al pubblico anglofono dopo Shakespeare.
Un momento… un duplicato che cita Milton… cinquant’anni prima di Alien: Covenant (2017)? Un’altra prova della totale banale dabbenaggine di Ridley Scott…
Un’ultima parola per le donne. La serie TV è degli anni Sessanta e certo il gentil sesso viene trattato con la concezione dell’epoca, ma Blish scrive alle porte dei ruggenti anni Settanta, con la rivoluzione sessuale ancora attiva: sarà aggiornare le protagoniste femminili dell’Enterprise? No, non proprio.
«Entrambe [le due donne] erano professioniste di alto livello, pari, durante le ore di servizio, a qualsiasi uomo dell’equipaggio di uguale grado, e da cui ci si aspettava un rendimento altrettanto efficiente.»
Insomma, il meglio che si possa dire delle due donne a bordo… è che erano efficienti come uomini!
Scopro che negli anni Ottanta questi primi romanzi della Bantam Books sono stati criticati dai fan, perché sono “imprecisi” e non sono attenti alla continuity: non ho capito se siano le solite polemiche dei fan talebani o se davvero l’universo narrativo ha avuto un’evoluzione più attenta e controllata, comunque il super-teletrasporto è un’idea gagliarda, anche se sicuramente avrà fatto tremare i fan più integralisti.
L.
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Sam Simon
luglio 31, 2019 at 7:44 am
A me il super teletrasporto (poi usato anche dall’imperdonabile Abrams in quella roba insensata di Into Darkness) rende un po’ inutili le navi stellari, che sono la base di Star Trek! X–D
Mi sembra che la storia abbia molte similitudini con l’episodio Missione di pace della prima stagione, anche se con questo elemento del duplicato di Spock (sulle storie coi duplicati in Star Trek potremmo scrivere libri interi)!
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Lucius Etruscus
luglio 31, 2019 at 8:31 am
Ho infatti notato che è un elemento ricorrente, forse perché considerato molto efficace e di sicuro impatto, e di certo lo era nel 1970: forse a ripeterlo nei decenni si è un po’ inflazionato 😛
Non ricordavo che “Into Darkness” risfoggiasse il super-teletrasporto, la mia genetica antipatia per Abrams mi ha portato ad una visione molto superficiale di quei film, che ho ormai del tutto dimenticati. Solo il bel tema sonoro mi è rimasto impresso 😛
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Sam Simon
luglio 31, 2019 at 10:36 am
Pure io ho provato a dimenticarlo ma purtroppo ho ancora delle memorie che non vogliono cancellarsi… Lo vidi pure al cinema, un’esperienza traumatica che ancora mi tormenta! X–D
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Lucius Etruscus
luglio 31, 2019 at 10:50 am
Che io ricordi, mi sono anche blandamente divertito, ma ho dimenticato le trame già ai titoli di coda 😀
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Conte Gracula
luglio 31, 2019 at 11:46 am
I fan di Star Trek hanno sempre detestato qualsiasi “innovazione” al suo universo: nel migliore dei casi, apprezzano fino alla precedente incarnazione della serie più recente uscita 😛
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Lucius Etruscus
luglio 31, 2019 at 12:02 PM
I fan sono bestie strane e incontentabili: fanno bene gli autori a non tenerne conto, perché è impossibile accontentarli tutti. Diverso discorso è quando tradiscono lo spirito di un universo, perché vuol dire che stai scrivendo altro spacciandolo per qualcosa che non è.
Questo romanzo di Blish è perfettamente rispettoso dello spirito di Star Trek, quindi non importa che invenzioni faccia: è una lettura divertente, consigliata a tutti i fan dell’universo 😉
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