La narrativa ci ha insegnato che un autore senza più idee ha bisogno di una vacanza per ritrovare l’ispirazione, e questo ciclo ci ha insegnato che l’unico modo perché il ghost raggiunga il writer è andarsi ad isolare in una casa sperduta, dove vivere esperienze di solito traumatiche.
Come ogni vacanza, però, si pone il problema della destinazione: mare o montagna? Cambia qualcosa ai fini dell’ispirazione? A quanto pare no, quindi seguiamo due scrittori in cerca di ispirazione nelle loro rispettive mete vacanziere.
Paul Martin (Udo Kier) è un acclamanto scrittore che si trova nella più critica delle situazioni: deve presentare il suo secondo romanzo, e com’è noto (lo dice anche Caparezza) la seconda opera è quella più difficile per un artista, perché rivelerà al mondo quanto vale: se cioè il suo è talento o la prima opera ha avuto semplicemente fortuna.
In più, Martin ha solo due settimane per consegnare quel manoscritto che ha tardato troppo ad iniziare. Come fare? Ovvio, ce lo dice ogni opera di narrazione che tratti l’argomento: ci si va ad isolare da qualche parte. Successo garantito.
Questo è lo spunto del piccolo film britannico del marzo 1976 scritto e diretto da James Kenelm Clarke, Exposé, noto anche come Trauma: nell’arrivare in Italia, il luglio successivo, il film assume il roboante titolo La casa sulla collina di paglia.
Incredibilmente, e forse per la prima volta, non è il solito titolo falso che tanto piaceva agli italiani: l’espressione è davvero utilizzata dal protagonista ed ha un senso nella trama.
Uscito in una ultra-rarissima VHS CVR (a 300 euro su eBay!), il film torna alla luce in DVD nel marzo 2013 grazie alla collana “Cineclub Horror” della Golem Video.
Sarah Morton (Charlotte Rampling) è un’acclamata scrittrice di lunga data che vive un brutto momento, ben noto agli “autori seriali”: non ne può più del proprio personaggio e del proprio stile. Novella “signora in giallo”, la Morton ha raggiunto fama e onori grazie ai suoi gialli con protagonista l’ispettore Dorwell, classico “Commissario Cliché” (per dirla con Andrea Carlo Cappi) impegnato in trame che si possono ben immaginare.
La donna è pressata dal suo editore perché presenti l’atteso nuovo romanzo, e l’uomo ben poco si cura dei problemi della scrittrice: l’importante è che sforni libri che incassano bene. Decide così di darle il più ovvio dei consigli: perché non si prende una vacanza? L’editore le mette a disposizione la propria villa nel sud della Francia, così che lì – assolata ed isolata – possa trovare nuova ispirazione.
Questo è lo spunto del film francese scritto e diretto da François Ozon, Swimming Pool. Presentato il 18 maggio 2003 a Cannes, gira per festival di tutto il mondo e la BIM lo porta nelle sale italiane dal 31 ottobre 2003 (fonte: ComingSoon.it). La stessa BIM, con RaiCinema e 01 Distribution, lo porta in DVD nel gennaio 2009.
Martin si ritrova in una claustrofobica villetta sperduta nella campagna inglese, circondato esclusivamente di paglia e con una casa piena di libri “furbetti”: il regista infatti si assicura che ad ogni inquadratura faccia capolino un libro che rimandi al tema dei fantasmi.
Tra i libri in casa, non può mancare l’opera prima di Martin, il libro a cui deve tutto il suo successo: Silenzio mortale (Deadly Silence), dedicato – come si legge all’interno – alla memoria di tal Simon Hindstatt.
Morton sembra avere un rapporto problematico con i propri libri – l’ultimo dei quali si intitola Dorwell indossa il kilt (Dorwell wears a Kilt) – ormai è disamorata del proprio personaggio e probabilmente non sopporta più i suoi libri. Quando una sua lettrice la riconosce, in metropolitana, lei nega di essere Sarah Morton.
I nostri protagonisti sono dunque insediati in case isolate, quindi… è il momento che arrivi l’ispirazione. Nel 1976 i libri si scrivevano a macchina, e Martin proprio non è capace di concepire un romanzo e allo stesso tempo scriverlo fisicamente, quindi chiede l’aiuto di una dattilografa.
Malgrado la padrona di casa storca la bocca, arriva la giovane Linda (Linda Hayden), dattilografa bionda come la paglia della collina, pronta a scrivere velocemente a macchina ciò che il romanziere detterà.
Allo stesso tempo, nella villa in Francia – nel Luberon, un «angolo di Provenza dove l’aria è la più pura d’Europa» recita il sito italiano – la nostra Morton si ritrova un’inquilina non prevista: Julie (Ludivine Sagnier), la problematica figlia dell’editore, spirito libero che ha deciso di passare l’estate nella villa paterna senza avvertire nessuno.
In entrambi casi la convivenza risulta problematica, all’inizio, ma poi si trova un equilibrio e anzi la compagnia aiuta la creatività. Martin così nella villa di Straw Hill (“collina di paglia”) inizia a dettare il suo nuovo romanzo, una storia d’amore dal titolo… Straw Summer.
«Ritornarono dalla fine della passeggiata e Angus fermò tranquillamente la sua macchina. Punto. Accapo. Il loro bacio non fu tenero e neanche affettuoso. Punto. Fu un bacio carnale. Punto. Fu un bacio sensuale. Punto. Duro e avido. Punto. Cattivo, appassionato ma senza calore. Punto e virgola. Ossessivo ma anche calmo. Virgolette. Ti amo. Chiuse le virgolette. Disse Angus dolce nell’interno.»
Dolce dove? Nell’interno di che? Comunque questo romanziere non mi sembra avere una narrazione gran che affascinante…
Non sappiamo cosa scriva la Martin, nel Luberon, né se si tratti di un altro dei suoi romanzi gialli (crime fiction): la donna stavolta vorrebbe scrivere altro, e la sua “ispirazione” sembra aiutarla in questo…
A Straw Hill la dattilografa Linda sembra affetta da uno strano disturbo: quando non è intenta a scrivere il nuovo romanzo di Morton, passa il tempo nell’autoerotismo. Finite le stanze della casa, passa alla paglia della collina, dove due villici la scoprono e ne approfittano per partecipare al “festino” improvvisato. Non essendo d’accordo, la donna prima finge di acconsentire poi ne approfitta… per pugnalare i due aggressori.
Non cambia la situazione nel Luberon, dove la giovane e disinibita Julie non sembra paga di cambiare amanti ogni sera e decide di concupire l’unico uomo verso cui la Morton sembra provare interesse, quasi una ripicca verso l’arcigna “scrittrice inglese” che se la tira un po’ troppo. Quando però l’uomo capisce la situazione e cerca di andarsene, una grossa pietra in testa mette fine alla storia.
Martin è ossessionato da visioni di sangue, visioni di donne strangolate nel letto e di violenza: sono fantasie o ricordi? È lui l’esecutore di quella violenza? Non si sa, sappiamo solo che queste visioni lo stanno divorando dall’interno e lo spingono a bere. E quando si beve… si parla troppo.
«Sa come si chiama questa casa? La casa sulla collina di paglia. Libri di paglia, scritti da uomini di paglia. Paglia… che schifo.»
Cosa vorrà dire questa ossessione per la paglia?
Intanto la situazione è degenerata per la Morton, costretta a stringere alleanza con Julie per nascondere il cadavere e costretta a sviare le attenzioni dei locali concedendosi libertà disinibite come non ha mai fatto in vita sua. In fondo, la stessa Julie l’aveva rimproverata di questo:
«Per me lei è solo un’inglese frustrata e vecchia che scrive delle porcherie ma che non le fa mai.»
Ora, per la prima volta, quelle “porcherie” la Morton inizia a farle.
Le stesse “porcherie” che fa Martin a Straw Hill, chiamando un’amica dai facili costumi a provvedere a quelle esigenze che la dattilografa Linda non ha voluto espletare. Siamo nel ’76, per cui sembra naturale che un datore di lavoro pretenda che la dattilografa gli porti il caffè e sia disponibile alle richieste sessuali, davanti al cui rifiuto l’uomo se ne esce con un «Non sarai lesbica?» E appena risposto “no”, la donna inizia una torbida relazione sessuale con l’amica chiamata dallo scrittore. Va be’, abbiamo capito che è un filmetto pseudo-erotico con solo la facciata di storia di un romanziere.
Cosa sta facendo la Morton in Francia? Sta scrivendo questo benedetto romanzo a cui era votata la vacanza? Qualcosa scrive ma non sappiamo cosa. Di sicuro trova un lungo diario scritto dalla madre di Julie, la moglie dell’editore morta in circostanze misteriose. Un diario che tutti sono convinti che sia sparito e invece è lì, con tutto il suo tesoro di emozioni. Nessuno l’ha mai letto, solo Julie: sarebbe un romanzo perfetto…
«Forse dandoti queste pagine oggi, domani potrai farla rivivere, quindi se ti dovessero ispirare… prendile, rubale, sono tue.»
Andandosene per sempre, Julie lascia in regalo alla Morton il diario della propria madre, sperando che nel diventare un libro (anche se apocrifo) la donna tornerà in vita, in un certo senso.
La scrittrice non si fa il minimo problema a ricopiare il diario: lo pubblicherà? Sappiamo solo che quello che alla fine propone all’editore John Bosload (Charles Dance) è un romanzo d’amore che lui non può accettare.
La donna lo sapeva, così ha portato la stessa storia da un altro editore, che l’ha accettata. E l’ha pubblicata. In un libro chiamato Swimming Pool.
Per una storia che finisce bene, un’altra finisce male, e il confronto finale avviene sulla collina di paglia.
«Mi ha detto di aver guadagnato mezzo milione di dollari da quel libro che non ha mai scritto, neppure una parola: perché lei non ha scritto quel libro, sa benissimo che è stato scritto da mio marito, lei glielo ha solo rubato. Dopo di che l’ha portato a un editore, e ha avuto anche il coraggio di dedicarlo a mio marito.»
Linda non è una semplice dattilografa, è la vedova Hindstatt: l’uomo a cui Paul Martin ha rubato il romanzo, dopo averlo portato al suicidio. Martin non ha mai scritto una sola parola, e ciò che detta si sente essere l’acerba produzione di uno scrittore solo immaginato.
Linda non è lì ad aiutare la creazione di un secondo romanzo: è lì per portare giustizia del primo.
Il film si chiude in modo vago, non sappiamo il destino di Paul Martin se non che – scrittore di paglia, nel senso di scrittore finto – rimane fermo lì, sulla collina di paglia, ad affrontare il suo passato e la sua colpa.
Invece va via la Morton, va via dal suo editore, ed uscendo incrocia la figlia… Un momento, ma…
… quella non è la Julie che abbiamo visto per tutto il film, è un’altra attrice! All’ultimo secondo di film, all’ultima manciata di fotogrammi, Ozon ci regala il sorriso di Sarah Morton e capiamo di essere stati presi in giro sin dall’inizio.
Non esiste alcuna Julie, non esiste alcun omicidio nella villa del Luberon: ciò a cui abbiamo assistito per tutto il film era l’ispirazione al lavoro della donna, che passava dalla storia di sangue e violenza a quella d’amore a quella di sesso, che studiava nuovi generi da affrontare e finiva per plagiare un diario ritrovato.
Cosa ha davvero scritto la Morton in Swimming Pool? Chissà, magari la storia di una scrittrice senza più idee che va a vivere isolata in una villa di campagna ed incontra l’ispirazione – un ghost – un proprio personaggio che prende vita e l’aiuta a cercare la via per una nuova narrazione.
Non si sa mai quale ghost si incontrerà, quando un writer si va ad isolare in cerca di ispirazione. Tutto dipende da quanto è sporca la sua coscienza.
Una curiosità finale. Nel 2010 viene annunciata l’uscita del remake moderno del film del 1976, intitolato anch’esso Exposé, scritto e diretto da Martin Kemp: il film poi esce con il più anonimo titolo Stalker, scomparendo immediatamente nel nulla. Non ho trovato tracce di una distribuzione italiana, e del film rimane solo il trailer.
L.
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Kuku
giugno 10, 2019 at 10:48 am
Ma Martin Kemp non sarà mica quello degli Spandau Ballet??
Kier, così dai fotogrammi, mi sembra un po’ monoespressivo, ma non ho mai visto niente con lui.
Ma sai che credo di avere le allucinazioni perché mi sembrava che tu avessi già scritto di Swimming Pool e invece no. Non so dove posso averne letto, mica era su uruk? Ho il cervello in pappa. Ho un ghost nel cervello che vede articoli immaginari?
Ah, cmq il primo libro di Martin c’ha la donna nuda in copertina, sarà per quello che ha venduto un sacco?
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Lucius Etruscus
giugno 10, 2019 at 11:05 am
Quello vende sempre 😀
Del film avevo già parlato anni fa su Thrillermazine – nel 2009, se ricordo bene – in forma più ridotta, e magari qualche volta ti avrò linkato quel pezzo dove si parlava anche di “Swimming Pool”.
Strano tu non abbia mai visto uno dei milioni di film interpretati da Udo Kier, è anche vero che superati gli anni Ottanta è ingrassato tutto insieme e oggi non ha più quella figura filiforme dell’epoca. Sicuramente avrai visto una qualche sua comparsata recente e non l’hai riconosciuto 😉
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Kuku
giugno 10, 2019 at 11:16 am
Potrebbe essere che l’ho letto sul thriller magazine.
Aaaaah, è lui! L’ho sempre visto da più vecchio, madonna, ma non lo avevo mica riconosciuto nella sua versione gggiovane!!
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Lucius Etruscus
giugno 10, 2019 at 11:38 am
I suoi film da giovane credo non vengano mai replicati, sono tutte chicche che in TV non passano da chissà quanto tempo. Tipo i film fatti con Andy Warhol o vari horror curiosi. E’ un peccato.
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Kuku
giugno 10, 2019 at 11:46 am
Comunque finora mi sembra che la Rampling è la scrittrice a cui sia andata meglio!
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Lucius Etruscus
giugno 10, 2019 at 11:48 am
Sì sì, è quella che ha saputo giocare con il proprio ghost invece che esserne vittima 😉
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Kuku
giugno 10, 2019 at 12:47 pm
PErò ci devi ancora rivelare se anche tu hai incontrato un ghost….:D
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Lucius Etruscus
giugno 10, 2019 at 12:52 pm
Magari! Avrei già scritto un bestseller 😀
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landiivano
giugno 10, 2019 at 12:51 pm
Hai parlato in questi post di due film che fanno parte della mia collezione da anni e potrei anche aver visto più di una volta nel corso degli anni, eppure avevo perso di vista molti, per non dire di peggio, dettagli della trama. Mi accorgo che è così per tutti i film che non ho studiato a fondo, il che da questo punto di vista li mette sullo stesso piano dei libri… ricordi i libri che studi ma quasi mai quelli che leggi.
Sai che mi è venuto in mente che con questa storia dei ghost-writer potrebbe entrarci anche il film “Miele di donna”? Ma poiché anche per questo film vale quel che ho scritto per i due sopra, c’è anche il rischio che io ricordi male e ti indirizzi su una strada sbagliata.
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landiivano
giugno 10, 2019 at 12:52 pm
…in questO post…
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Lucius Etruscus
giugno 10, 2019 at 1:00 pm
Nel mio caso vale l’esatto opposto, la mia carriera scolastica è stata un abisso di orrore tale che ho sistematicamente rimosso tutto ciò che ho studiato, giungendo ad avverare in pieno la massima di Leo Longanesi: “Tutto ciò che non so, l’ho studiato a scuola”. Per fortuna conclusa quell’esperienza devastante ed umiliante, mi è rimasta la voglia di studiare per pura curiosità e piacere – un regalo dei miei genitori, che sin da infanti ho sempre visto leggere e studiare per conto proprio – e così ricordo ciò che ho letto per conto mio e ho rimosso tutto ciò che ho letto per studio, cioè imposto da altri.
Se invece mettevi sullo stesso piano lettura e studio, cioè entrambi fatti per propria scelta, lì non saprei, perché se i rispettivi libri mi sono piaciuti ne ricordo il succo (saggistica o narrativa che sia), se non mi sono piaciuti ricordo “perché” non mi siano piaciuti quindi in fondo è un succo anche quello 😛
Grazie per la dritta su “Miele di donna” che non consocevo, passo subito a studiarlo ^_^
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theobsidianmirror
giugno 10, 2019 at 8:32 pm
Anche ne “Il ginocchio di Claire” di Rohmer c’era, mi pare, una scrittrice che si era rifugiata in campagna, in un luogo però tutt’altro che isolato (e di conseguenza alla fine non ha scritto un rigo). Va detto però che Rohmer nel film si è occupato di tutto meno che di lei…
Altro ghost-writer è quelo di un film di cui adesso non mi viene il titolo (e magari mi puoi aiutare): era la storia di un tizio che fa da badante ad un vecchio scrittore di testi teatrali. Il vecchio muore nella vasca da bagno e il badante si dilegua con il suo ultimo inedito che, ovviamente, diventa un successo clamoroso. Talmente clamoroso che subito tutti reclamano da lui un nuovo lavoro….
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Lucius Etruscus
giugno 10, 2019 at 8:38 pm
Az’, l’ho visto in tempi recenti! Lui è tipo un gigolò e il vecchio muore nella vasca senza che nessuno sappia né del testo né del giovane che ha ospitato. Non so perché credo sia francese, ma non riesco proprio a ricordare…
Il genere “romanzi rubati” sarebbe un ciclo a parte, chissà .-P
Di sicuro le opere legate agli “autori che si isolano e ricevono ispirazione da qualcosa (o qualcuno) di strano” sono più di quanti ne tratterò nel ciclo, ciò che mi preme è presentare i più ghiotti e più rappresentativi del genere 😉
E conto di chiudere con un film coreano che è un autentico capolavoro di plagi così smaccati… da diventare arte!
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