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[Un libro, una storia] Gli inconsolabili

20 Mar

Questa in realtà è la storia di come NON ho letto “Gli inconsolabili” (The Unconsoled, 1995) di Kazuo Ishiguro

Spesso chi mi ha conosciuto dal vivo ha avuto l’impressione che io sia un “pantofolaio”, uno che non si muove volentieri, fraintendendo il mio carattere. Non solo ogni anno copro un numero di chilometri pari alla circonferenza terrestre – ho fatto più volte il giro del mondo io dei sedicenti viveur che si vantano di viaggiare molto! – ma per lavoro anni fa ho girato tutta l’Italia, nel vero senso della parola.
Da Porto Armerina (Sicilia) a Cuneo (Piemonte) mi sono girato tutta la penisola, spesso spostandomi in aereo. Per fortuna era il Duemila quindi non c’era la fobia dell’11 settembre…

Seguendo i sacri consigli del Turista per caso, portavo sempre un voluminoso libro con me anche se in quel periodo burrascoso davvero non avevo la concentrazione giusta per alcun tipo di lettura. Inoltre l’azienda mi aveva fornito un computer portatile e stavo studiando Excel e Poser che mi portavano via un mare di tempo: nessuno dei due software mi serviva per lavoro, ma li trovavo meravigliosi e volevo impararli bene. Visto che ancora oggi li uso – con Excel ci catalogo tutto e ci faccio i conti di casa, mentre con Poser ho disegnato quasi tutte le copertine dei miei eBook in vendita! – direi che è stato tempo speso bene.

Quel periodo scoprii qualcosa degli aeroporti che nessuno mi ha mai detto, né prima né dopo: sono buschi oscuri che risucchiano quantità assurde di tempo. Sarà anche vero che andare da Roma a Milano in aereo è veloce – circa 45 minuti di volo netto – ma se contate i tempi di attesa, prima e dopo, sono assolutamente convinto che in treno si faccia prima…
Avevo quindi in media due o tre ore abbondanti, due volte la settimana, da passare in aeroporto, e la batteria del portatile era fuori discussione: come ogni apparecchiatura informatica, se la usi la batteria dura dieci minuti.
Così optai per portarmi dietro dei libroni che mi avvolgessero e in cui potessi immergermi, anche se dopo – facendo un bilancio dell’esperienza – capii non avevo proprio lo spirito per leggere ed è stato solo un peso inutile.

Visto che ho amato visceralmente Quel che resta del giorno, scegliere un altro libro di Kazuo Ishiguro mi sembrava la soluzione ottimale, anche perché mia madre mi aveva assicurato che Gli inconsolabili era un piccolo capolavoro.
Malgrado il tanto tempo che gli ho dedicato, non sono riuscito neanche a capire di cosa parlasse il libro: avevo la testa piena di troppa roba per poter trovare concentrazione su un volumone di 500 pagine scritte fitte fitte. Ricordo gli sforzi in aeroporto per riuscire a capire una parola dopo l’altra,ma era davvero impossibile, se poi continuavo a controllare lo schermo dove ripetutamente il mio volo veniva spostato di gate o di orario.

Non mi è mai venuta la voglia di leggere con calma questo libro, perché ogni volta che ne vedo la costa ripenso a quei giorni intensi di “stress da viaggio”, in cui ero pieno di formule di Excel, grafici di Poser, istruzioni di lavoro e mille altre cose ancora. Non c’era proprio spazio per Ishiguro…

L.

 
8 commenti

Pubblicato da su marzo 20, 2017 in Uncategorized

 

8 risposte a “[Un libro, una storia] Gli inconsolabili

  1. Cassidy

    marzo 20, 2017 at 9:36 am

    Quando possibile, viaggio in treno tutta la vita, almeno il tempo di attesa è tutto dedicato al viaggio, si può stare tranquilli seduti a leggere 😉
    Però hai ragione, in certi momenti la lemte vaga ed è difficile restare concetrati sul testo. Cheers!

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    • Lucius Etruscus

      marzo 20, 2017 at 9:47 am

      Per anni ho viaggiato in treno ed è stato tempo splendidamente investito, dove ho letto a fiumi e fatte tante cose: mi manca quell’aspetto del treno 😉

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  2. theobsidianmirror

    marzo 20, 2017 at 9:13 PM

    …ecco perché ho imparato a fare il tragitto Milano-Roma con il Freccia Rossa! Quelle tre ore di relax assoluto sono una meraviglia irrinunciabile. Tra l’altro anche belli svaccati e con la presa di corrente che ti tiene vivo il telefono. Aggiungo che l’aereo ti sbarca pure a Fiumicino, che non è esattamente in centro città….

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    • Lucius Etruscus

      marzo 20, 2017 at 9:16 PM

      Nel Duemila la tecnologia era sicuramente inferiore – c’era già il Freccia Rossa? – e le prese di corrente non così a portata di mano, ma sono più che sicuro che in treno ci avrei messo meno tempo e con molto meno stress. Portare un paio di tomoni in più non sarebbe stato un problema, e lo “stravaccamento” è assolutamente propedeutico alla lettura ^_^

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      • theobsidianmirror

        marzo 20, 2017 at 9:26 PM

        Nel Duemila probabilmente non c’erano treni come quello. Credo esistessero solamente vagoni marcissimi, affollati a dismisura e banchi di ascelle sudate a perdita d’occhio (che poi sul 99% dei treni italiani è ancora così)

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      • Lucius Etruscus

        marzo 20, 2017 at 9:32 PM

        Sui voli Alitalia non è che ci fosse aria fresca e spazio vitale 😀 Preferisco un treno affollato ad un aereo affollato…

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      • theobsidianmirror

        marzo 20, 2017 at 9:40 PM

        Affermazione forte! Da quanto tempo non prendi un locale, magari a luglio coi finestrini sbarrati e l’aria condizionata inesistente?

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      • Lucius Etruscus

        marzo 20, 2017 at 9:44 PM

        ahah giusto ^_^ Ormai da cinque anni sono pendolare automobilistico, ma per i precedenti 7 ho in pratica vissuto su treni regionali d’ogni sorta. L’importante è avere uno zaino tattico alla MacGyver – visto che poteva bloccarsi in lunghe gallerie avevo anche una torcia! – e non dimenticare mai una riserva d’acqua e/o integratore di sali minerali. Col treno fermo in pieno agosto, sotto il sole, con la gente che sveniva, io continuavo a leggere imperterrito e sorseggiare powerade 😛

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