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Cartaceo vs Digitale: il grande match

08 Feb

Ancora si discute animatamente su quale formato sia migliore per i libri, se il cartaceo o il digitale, quindi trovo ancora attuale questo mio pezzo del 2012 sull’argomento. L’ho scritto dopo aver partecipato ad un evento letterario di Roma e avrebbe dovuto essere un reportage per ThrillerMagazine, invece vari problemi tecnici l’hanno fatto slittare ed è rimasto praticamente inedito. (È apparso nel maggio 2014 sulla rivista amatoriale per blogger The Circle Review, ma non so se è ancora in giro.)

Ricordo che su 2.500 anni di lamentele riguardo cambio di tecnologia libraria ho scritto una serie di post che vi invito a ripescare.

Cartaceo versus Digitale
Il grande match

Illustrazione di Oscar Chiconi

Nel 1986 Isaac Asimov (che aveva l’occhio lungo) inserì queste poche righe nel suo romanzo “Fondazione e Terra” (Foundation and Earth, Mondadori 1987):

«Pelorat aveva in mano la sua biblioteca (il minidisco in cui era racchiusa una vita di ricerche sui miti e le leggende) e si ritirò in camera, dove teneva il suo piccolo lettore.»

Forse lo scrittore non aveva idea della lunga gittata di una delle sue tante intuizioni geniali: volendo, oggi è possibile girare con una piccola biblioteca in tasca proprio come la descrive Asimov nel suo romanzo. Ma il problema è questo: volerlo.

Passano gli anni e i libri in digitale prendono sempre più piede, con un incremento inversamente proporzionale al giudizio comune: più li si disprezza, più crescono rigogliosi. Più si lanciano in aria frasi come “non posso rinunciare all’odore della carta”, più il digitale acquista forza: perché la carta non è il messaggio, ne è solo il veicolo. “Un libro lo devi toccare”: no, un libro lo devi leggere, e le potenzialità del digitale – scelta della fonte, del carattere e del colore, invece di sottostare a scelte editoriali a volte illeggibili – sono impensabili per il cartaceo.

Oggi viviamo tempi eccezionali, gli stessi che visse in modo traumatico Platone quando si passò dall’oralità alla scrittura, e gli stessi dei primi cristiani quando si passò dal rotolo al volume, o gli stessi ancora dei primi del Cinquecento quando si adottò la stampa a caratteri mobili, e così via. Ogni rivoluzione dell’editoria ha portato lamentele, ogni volta si sono alzati tutti a dire che “non potevano rinunciare” a qualcosa, ma l’evoluzione non è democratica, non fa sondaggi d’opinione né elezioni: se qualcosa ha i numeri per funzionare, funzionerà.

Quanti amanti della pietra si sono infuriati di fronte alla nascita della scrittura su papiro? Quanti estimatori della pergamena hanno malvisto l’introduzione della carta? Ogni volta c’è stato qualcuno che si è alzato e ha sputato il proprio giudizio contrario alla novità del momento, come chi oggi dice frasi incredibili come “L’unico modo giusto di leggere è su carta”: quindi i diecimila anni in cui non si è scritto su carta sono stati del tutto inutili? Che gran perdita di tempo…

Il Viaggiatore del Tempo di H.G. Wells scopre con orrore che nel futuro non rimarrà nulla dell’editoria: «mi accorsi che gli stracci scuri che pendevano dalle pareti erano resti di libri ridotti a pezzi da chi sa quanto tempo, poiché ogni traccia di stampa era scomparsa da essi». Essendo egli uno scrittore, la costernazione è tangibile: «Confesso che pensai soprattutto alle “Relazioni filosofiche” e ai miei diciassette saggi sulla fisica ottica».
Più dell’egoistica preoccupazione del personaggio, ciò che colpisce è che con tutta la sua genialità Wells non fu in grado di immaginare un futuro diverso per i libri, al contrario invece del buon Asimov.

Comunque è vero, i libri cartacei sono sopravvissuti nel tempo più di quanto un qualsiasi supporto digitale potrà mai sperare di fare: abbiamo libri cartacei del Quattrocento, pergamene dell’anno Mille e papiri di tremila anni fa. Impossibile pensare che un qualsiasi supporto digitale possa durare anche solo un millesimo di questo tempo. Ma bisogna fare alcune doverose precisazioni.

Il destino dei libri nel futuro di H.G. Wells

Il destino dei libri nel futuro di H.G. Wells

I libri che hanno «attraversato gli oceani del tempo» (per dirla come Dracula!) non sono quelli che noi oggi abbiamo in casa: data la pessima qualità della carta, i nostri volumi casalinghi difficilmente supereranno qualche decina di anni di età. I libri millenari sono stati scritti su un tipo di carta resistente che da tempo non può più venir usata, per ovvi motivi di costi. Meglio ancora sarebbe scrivere su papiro che, se conservato in ambienti secchi o comunque a clima controllato, può sfidare i millenni.

Tutto questo appartiene ad un passato lontano: i libri cartacei che tutti noi abbiamo in casa non sopravviveranno alle sabbie del tempo. Neanche il digitale lo farà, ma c’è una differenza sostanziale: un libro cartaceo che si sta per distruggere lo si può solo guardare con dispiacere; un libro in digitale lo si può copiare all’infinito su supporti sempre più nuovi e resistenti. Il lavoro che agli amanuensi medievali richiedeva anni, se non decenni, ora può essere compiuto in qualche secondo, o male che vada in alcuni minuti.

Il lettore deluso Rod Taylor dal film L'uomo che visse nel futuro (1960) di George Pal

Il lettore deluso Rod Taylor dal film L’uomo che visse nel futuro (1960) di George Pal

Insomma, l’argomento è spinoso e sfaccettato, e il feticismo intorbida la discussione: nel rumore di voci che si appellano a quanto sia bello annusare i libri, a quanto sia bella la carta, a quanto sia amabile l’odore dei libri, a quanto sia bello stringere il cartaceo e mille altre obiezioni… non si sente mai una voce di chi vuole semplicemente leggere i libri, che è alla fin fine lo scopo finale della loro essenza.

Per cercare di capire a che punto era la questione, nel 2012 ho partecipato ad un festival letterario nella Capitale chiamato “Libri Come”, nella speranza di capirci qualcosa di più.

~

libricome1«Another brick in the wall» cantavano i Pink Floyd: un’altra “breccia” nel muro. È vero, non è questa la traduzione esatta e l’espressione si usa per indicare qualcosa di solido, ma curiosamente il mattone inglese (brick) ha la stessa radice da cui l’italiano “breccia”. Proveniente dalle antiche lingue germaniche, è una parola che indica una parte spezzata, separata da un qualcosa più grande: ma mentre il brick inglese indica la parte, la breccia italiana indica il vuoto che ha lasciato nel venir separata.

Cosa c’entra tutto questo con la Festa del Libro e della Lettura “Libri Come”? La risposta si trova in una delle sale che hanno accolto l’evento, dove era visibile un’imponente installazione concepita da Alicia Martín: una enorme parete di mattoni con una breccia composta da una montagna di libri. I volumi che si fondono con i mattoni spezzati lasciano interdetti: sono i libri che hanno spezzato il muro, o è il muro di libri che viene spezzato ogni giorno di più?

Nella splendida cornice dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, struttura d’eccellenza del mondo musicale della città, dall’8 all’11 marzo 2012 si è svolta la terza manifestazione di Libri Come, dedicata al mondo del libro e della lettura: in una città come la capitale questa iniziativa è una ventata d’aria fresca.

Accoglie il pubblico un libro titanico posto sul piazzale, con scritti fra le sue pagine tutti gli eventi della manifestazione. Lo ammiro e mi preparo a gustare una parata “di libri e di lettura”, come promette il logo dell’evento.

Comincio a camminare in cerca della “parata”, ma oltre a ragazzini che giocano a pallone e alla folla che ha invaso il bar, formando code incredibili, non sembra esserci vita nella zona. Per fortuna un gentilissimo addetto alla sicurezza indica una porticina che dà in una catacomba: quello è lo spazio riservato a “Libri Come”.

libricome2

Installazione di Alicia Martín

L’angusto abitacolo – forse un omaggio alle catacombe di quei primi cristiani grazie ai quali è attecchita la “tecnologia” del libro contro quella del rotolo di papiro? – si rivela subito uno spazio accogliente e deliziosamente arredato. L’atmosfera è calda e ben dispone il visitatore.

Dalle pareti ammiccano le gigantografie che compongono l’iniziativa Bookshelfporn. Le foto di Zach Schrock guidano il curioso nella “pornografia per amanti di libri” e d’un tratto ci si ritrova calati in piena bibliofilia che, come tutte le filìe, è una perversione intima.
Il fotografo apparentemente ritrae libri su scaffali con a volte qualche simpatico “effetto speciale”, ma il bibliofilo – l’amante vizioso di libri – coglie l’aspetto pornografico: quello non è amore per il contenuto dei libri, ma pruriginosa attrazione materiale per ciò che li contiene. I libri sono lì a mostrarsi senza veli o pudori, senza moralismi o catalogazioni; si lasciano toccare da mani curiose, si lasciano frugare da sconosciuti e impilare in posizioni d’ogni sorta. Non sono libri da leggere o amare, sono libri da sfogliare.

Con i sensi offuscati dall’amore osceno per le copertine dei libri – non per il loro contenuto – lascio la “pornografia libraria” di Schrock pronto a lanciarmi nel cuore della manifestazione, a spogliarmi cioè dell’amore mercenario per la carta e ad elevarmi all’amore intellettuale per ciò che in essa è stato scritto. Scoprendo l’antica verità che l’editoria non è lì a parlar d’amore, ma a vendere libri…

In tre sale della struttura si tengono contemporaneamente presentazioni di piccola e media editoria, conferenze che danno la possibilità ad autori – a volte emergenti, a volte già noti – di avere un rapporto stretto con il pubblico e di far conoscere la propria opera. O per lo meno queste erano le intenzioni, perché in realtà tutto avviene tranne questo.

Le tre sale in questione sono sommerse di tecnologia d’ogni tipo – cavi d’ogni razza, colore e dimensione, led a vari gradi di luminosità, altoparlanti, prolunghe, trasformatori, spine inserite o in attesa di inserimento – ma è ovvio, mi dico: senza tecnologia il messaggio non arriva a molte persone. (Curioso, continuo a dirmi: è proprio per far arrivare il messaggio a più persone che è stata inventata la tecnologia del libro, quel libro che gli illuminati vogliono proteggere dalla tecnologia che gli consentirebbe di raggiungere ancora più persone, ma che pubblicizzano usando la tecnologia…)

Bookshelfporn di Zach Schrock

Bookshelfporn di Zach Schrock

Il flusso sconnesso dei miei pensieri è interrotto dal costante rumore di fondo dell’universo contemporaneo: lo squillo del cellulare. Pronto? Sono a Libri Come. Come? Sì, a Libri Come. No, non posso parlare. (Ossimorica follia gridare al cellulare che non si può parlare!)
Nel ronzio perenne di vibrazioni e squilli, di gente che vuole comunicare il fatto di non poter comunicare – o di non avere assolutamente nulla da comunicare (Pronto? Che fai? Niente, sono qui.) – arriva l’autore portando la calcificazione di se stesso fra le mani: il suo libro. Scavalca un nido di vipere (in realtà i cavi dell’installazione audio-video) e cerca spazio su un tavolo ingombro di microfoni, altri cavi, spine e spinotti: al centro della barbara tecnologia pone il suo monolito nero… il suo libro di carta. Fra un netbook e un notebook, finalmente un book.

Si comincia a parlare del libro in una stanza priva di libri, fra gente che non ha libri in mano né in borsa – ma, statene certi, ha almeno due o tre cellulari che squilleranno senza sosta – in una struttura dove ci sono più libri nelle foto alle pareti che esposti; in una struttura che sciaborda di volantini gratuiti che parlano di libri, e di pochissimi libri (a pagamento); in una struttura che appende alle pareti splendidi ritratti autoriali firmati da Tommaso Pincio, autori talmente famosi da stupirsi quando una signora esalta a voce alta la bellezza di Kafka e poi si chiede «Non conosco questo Ballard» (Signora mia, cos’ha letto negli ultimi quarant’anni?).
In un tempio del libro assente, del libro anzi negato, dove gli autori si guardano appesi al muro e i libri (senza titolo) si ammucchiano in oscene e conturbanti foto di scaffali, cosa mai può comunicare un autore al pubblico? O meglio, cos’altro può comunicare rispetto a ciò che presumibilmente ha fatto tramite la tecnologia del libro stampato?

Il pubblico è attento e interessato, gli autori appassionati e molto comunicativi; il personale è gentile e disponibile; gli orari sono rispettati e il tutto è organizzato in modo impeccabile. Cosa stona allora? La risposta arriva spontanea: che diamine ci facciamo tutti qui?

Ritratto di James G. Ballard (2012) di Tommaso Pincio

Ritratto di James G. Ballard (2012)
di Tommaso Pincio

Sia noi spettatori che l’autore fino a qualche ora prima di “Libri Come” eravamo davanti ad uno schermo (PC, netbook, notebook, iPhone o qualsiasi altra piattaforma) a comunicare fra di noi, secondo i nostri ritmi e i nostri gusti; poi ci siamo alzati, ci siamo messi la tecnologia in tasca, abbiamo affrontato un viaggio scomodo per arrivare all’Auditorium Parco della Musica, abbiamo cercato a lungo un parcheggio, ci siamo riseduti, l’autore ha cominciato a dire le stesse cose che qualche ora prima stava dicendo on line, noi abbiamo tirato fuori la tecnologia che fino a qualche ora prima avevamo in casa, e abbiamo continuato a comunicare.
Qualcuno ha ripreso gli interventi con videocamera e iPhone, addirittura un autore – per citare un brano di un libro che ha letto – ha tirato fuori il suo palmare e ha cominciato a leggere da una foto scattata ad un libro aperto. Questa è la Festa della Tecnologia, non del Libro, ma attenzione: non è una critica, è la constatazione che la breccia nel muro del libro si amplierà sempre di più se non si prende atto che il desiderio di fondo è comunicare, non vendere carta ai perversi bibliofili (come chi scrive!).

Uno dei moderatori dell’evento ha citato un celebre passo di Platone (ne parlerò più avanti): cambierebbe qualcosa se quel passo amato fosse stato scritto sulla parete di un bagno? Cosa conta, il contenuto o il contenitore?

Secondo molti – allergici alla tecnologia – solo il libro cartaceo può veicolare il messaggio. Ma a “Libri Come” erano assenti libri cartacei: c’erano iPhone, Kindle (in vendita nei BibletStore della Telecom), netbook, palmari e ogni altra sorta di tecnologia. Gli unici libri cartacei erano quelli scritti dagli autori delle conferenze e quelli utilizzati nella citata opera d’arte di Alicia Martín.

La breccia si allarga e l’editoria sta cercando di vendere le briciole e le breccole (parole entrambi derivanti dalla stessa radice di brick) senza occuparsi, od occupandosi ben poco, di ricostruire la parete. Ci pensano i lettori, questi bricconcelli (idem come sopra), a ricostruirsi ognuno la parete che preferisce: chi vuole comunicare non ha bisogno di convegni come mediatori, come dimostrato dal fatto che durante i detti convegni grandi fette del pubblico comunicava con altri tramite cellulare. Eventi e manifestazioni sono per l’amore mercenario, per vendere carta a bibliofili che pagano per sfogliare con mani scabrose le pagine nude, da sfogliare con lascivia. (Come chi scrive, che ha comprato, ha toccato, ha sfogliato, ma non ha letto nulla! Ci sarà tempo, dopo, per l’amore della lettura.)

anima_ipadChi non crede al caso amerà sapere che la libreria dell’Auditorium aveva in vendita il geniale “Anima e iPad” di Maurizio Ferraris. Il filosofo torinese, certamente in controtendenza, non vede affatto la fine dell’editoria: lucidamente ne testimonia la trasformazione.
Già ora la tavola, il pad, l’erede della tabula come simbolo della mente, permette ai lettori bricconi di colmare la breccia nella parete (anch’essa tavola, anche se verticale) dell’editoria cartacea. Ci sarà sempre carta da sfogliare, ma chi legge vuole leggere sempre di più e soprattutto è disposto anche a rinunciare a parte del contenitore in cambio di più contenuti.
Gli editori in gamba dovrebbero capire che ciò che loro possono offrire è la qualità del contenuto, indipendentemente dal contenitore. E che non dovrebbero lavorare solo per gli amanti della carta, ma anche per i lettori (e non sempre sono le stesse persone).

~

L’eterno Franco Farinelli ci racconta che quando Cristoforo Colombo tornò dal suo viaggio la Terra, da sferica che era, divenne piatta: il navigatore l’aveva adattata ad una mappa, e da allora il mondo che noi conosciamo è piatto. Perché piatta è la tabula della nostra mente, dove scriviamo e cancelliamo, inseriamo e collezioniamo come sull’iPad, che è una tavola piatta. È un gioco divertente leggere un libro tridimensionale, ma ciò che ricordiamo lo ricordiamo piatto.
Come l’autore citato che ha letto da uno schermo piatto di un iPhone piatto la foto piatta di un libro tridimensionale; come le foto porno-librarie di Zach Schrock, che rendono piatte perversioni bibliofile tridimensionali; come i ritratti di Tommaso Pincio, che rendono piatti autori in carne e ossa; come piatto è lo schermo delle videocamere attraverso il quale alcuni spettatori hanno assistito alle conferenze.

Se dunque “Libri Come” ha dimostrato qualcosa, è che il mondo è sempre più piatto: sta agli editori capire che l’unico oggetto tridimensionale dell’evento erano le rovine librarie della Martín, fuse ai mattoni infranti.

L.

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3 commenti

Pubblicato da su febbraio 8, 2017 in TecnoLibri

 

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3 risposte a “Cartaceo vs Digitale: il grande match

  1. Ivano Landi

    febbraio 8, 2017 at 4:31 PM

    Applausi per l’articolo. Ma ho anche ammirato la galleria dei ritratti di Pincio. Non avevo idea che fosse anche pittore!

    Piace a 1 persona

     
    • Lucius Etruscus

      febbraio 8, 2017 at 4:42 PM

      Guardando le date quei ritratti li ha creati proprio quando li ho visti io, a quel festival romano 😉
      Come dicevo, c’erano un sacco di ottime inziative in quel festival librario… tranne i libri, che mancano sempre da ogni discussione libraria 😀

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